Il racconto d'agosto de La Provincia:
"Il critico innamorato"

Per tutto il mese d'agosto La Provincia pubblica le "storie" del signor Bargilli narrate da Mario Schiani e illustrate da Renato Frascoli. Ogni giorno una puntata nella sezione Cultura e Spettacoli del sito

La porta si aprì come per una folata di tramontana, rivelando il volto sgomento del Giovane Critico. Egli scacciò con una mano la curiosità dei colleghi giornalisti e, senza aprir bocca, si precipitò nell’angolo più discreto del "Prima Pagina", un bar che affacciava le sue vetrine opache davanti all’insegna in "baskerville" de "La Nostra Voce".
Ebbe giusto il tempo di farsi servire un cognac che una mano comparve dal nulla e lo afferrò per la giacca. Gli appassionati di romanzi gialli penseranno a uno di quei momenti colmi di tensione che spingono il lettore sull’orlo della sedia e che troppo spesso vengono interrotti dal "gong" per il pranzo. Niente di tutto ciò: dalla penombra affiorò il volto gioviale del signor Bargilli, il più abituale tra i clienti abituali del bar. «Che cosa le succede, amico mio?», chiese il signor Bargilli. «Mi perdoni se glielo dico, ma lei tradisce i sintomi della più tumultuosa agitazione». «Sono nei guai fino al collo», ammise il Giovane Critico. «Mi è scappata una stroncatura». Il signor Bargilli sorrise con indulgenza. «Ai danni di chi, se posso indagare?» «Un clavicembalista». «Categoria suscettibile. Un momento, ora ricordo. E’ stato lei ad annotare che il suono prodotto dallo strumento - cito testualmente - "accarezzava l’orecchio con la gradevole cacofonia di un tamponamento a catena"? Perbacco, molto efficace. E il clavicembalista se ne è risentito?» «Ha fatto sapere in giro che intende passeggiare sulla mia faccia calzando scarponi chiodati». «Davvero inurbano. Perdoni la domanda: considererebbe la possibilità di un confronto fisico con l’energumeno?» «Neppure sotto la minaccia delle armi. Si tratta di un clavicembalista particolare: delle dimensioni di un armadio a quattro ante». Il signor Bargilli si sistemò sulla sedia e levò lo sguardo al soffitto. Era sua abitudine manifestare così l’intenzione di attingere da un vasto repertorio di aneddotica giornalistica: egli stesso, molto tempo addietro, aveva svolto l’onorevole professione in qualità di capocronista. «Le sue parole - proseguì - mi ricordano una vicenda accaduta anni fa». «Temo di dover raggiungere subito la stazione», disse in fretta il Giovane Critico. «L’ultimo treno è in partenza e non ce ne saranno altri fino a giugno...» Ma il signor Bargilli già aveva incominciato a raccontare.

* * *

Che io ricordi (disse il signor Bargilli), al quotidiano "La Nostra Voce" non c’è stato critico d’arte più feroce di Mughetto Sinni. Le sue stroncature producevano l’effetto di una moltitudine di cavallette sul raccolto autunnale. Mostrando al pubblico le loro opere, gli artisti sfidavano un rischio mortale, un po’ come il bimbo ghiottone che insista con la prozia zitella per una terza porzione di torta Paradiso. Giungeva spesso all’orecchio dell’opinione pubblica che la tale Signorina Pittrice si era abbandonata a una crisi isterica dopo un’abrasiva recensione di Mughetto o che un Focoso Scultore, sottoposto allo stesso trattamento, aveva preso a calci un trionfo marmoreo procurandosi fratture multiple ai metatarsi. Non c’era poi chi non ricordasse il caso del ritrattista Filadelfio Scassa. La stroncatura che Mughetto riservò ai suoi lavori fece sghignazzare la città per giorni e divenne addirittura un gioco di società. Nel suo articolo, il critico sosteneva che «i volti tratteggiati dallo Scassa rappresentano un’angosciosa galleria di casi clinici. Davanti a questa esposizione di guance deformate dalla sofferenza, di labbra costrette in smorfie di dolore, di occhi sbarrati di fronte al patimento, ci si chiede quali orrende malattie possano aver provocato tanta disperazione». Poiché il pittore aveva ritratto gran parte dei maggiorenti della città, ben presto nei salotti ci si divertì ad attribuire un morbo a ogni faccia: sciatica per il Prefetto, duroni per la contessa angelo della Croce Rossa, emorroidi per il Capo della Polizia e via sparlando e ridendo. Filadelfio Scassa, umiliato e furibondo, aveva annunciato alla popolazione intera che altra missione nella vita non gli era rimasta se non quella di "polverizzare" l’odiato critico. Lasciati pennello e tavolozza, si era associato a una palestra diventando pugilatore professionista e covando, giorno dopo giorno, notte dopo notte, i suoi propositi di vendetta. Ma nulla di tutto ciò aveva importanza: Mughetto era protetto dalla più inviolabile delle corazze. Filadelfio presto si accorse che poteva sfogare la sua rabbia soltanto sul "ring" (dove raccolse un’impressionante serie di trionfi): come tutti gli artisti, non aveva modo di arrivare al critico per il buon motivo che la sua identità era, per il pubblico, un mistero. Gli articoli di Mughetto erano firmati con lo pseudonimo di Deniche La Croûte e le generalità del fustigatore erano note soltanto al direttore del giornale. Al riparo dello pseudonimo, Mughetto non temeva né Filadelfio Scassa né nessun altro: si divertiva con le sue recensioni al vetriolo e ancor più con il frequentare - stavolta il suo nome autentico - l’alta società locale. Non c’era serata mondana, ballo in maschera o prima a teatro che non vedesse la sua spensierata presenza. Popolarissimo tra le belle signore, egli sfarfalleggiava schivando con agilità i dardi che Cupido indirizzava al suo cuore. Cupido, a dirla tutta, avrebbe potuto darsi all’allevamento di oche se la sua fortuna fosse dipesa da Mughetto, il quale sembrava non aver tempo da dedicare all’amore: si accontentava di adorare la bellezza, l’eleganza e l’agiatezza. Degli artisti che insistevano nell’esporre le loro abominevoli opere, Mughetto faceva giustizia indossando come Zorro la maschera di Deniche La Croûte. Per tutto il resto, non aveva che un sorriso indulgente e svagato. Era questo stesso sorriso ad increspargli i baffetti una sera di ottobre mentre passeggiava nel "foyer" del teatro locale, approfittando dell’intervallo tra il terzo e il quarto atto dell’opera "Il Calzolaio di Brugge" del maestro Genoveffo Gasparini. Compiaciuto, Mughetto sorbiva con occhi gioiosi l’atmosfera elegante, i fiori esuberanti, le scollature audaci, la luce morbida diffusa dai lampadari di cristallo. Lasciò che gli occhi vagassero nell’accogliente "foyer" finché non fu troppo tardi: nel più inaspettato dei tradimenti, i suoi bulbi oculari agganciarono uno sguardo profondo e azzurro come una gita al mare. Quello - lo avrebbe saputo poco dopo - della signorina Clarissa Barozzi-Patrulli. Non accade spesso che un Mughetto e una Clarissa incrocino lo sguardo senza che il mondo debba sopportare gravi conseguenze, e non fu questo il caso. Di botto, Mughetto Sinni seppe di essere innamorato.

(1- continua)

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