Il racconto d'agosto de La Provincia:
"Il gioco della finanza" / 1

Il secondo racconto estivo: Liberto Daverio-Moneta in tanti anni non aveva mai fatto comunella con i colleghi. Abilissimo nel trovare notizia riservate, una volta si era persino finto maggiordomo. Ogni giorno una puntata nella sezione Cultura e Spettacoli


Dietro il banco del "Prima Pagina", il barista Nicodemo asciugava bicchieri e contemplava gli avventori con occhio da zoologo.
Si vantava spesso di capire al volo a quale specie appartenesse ogni cliente del bar. Viaggiatore di commercio, impiegato in pausa, autista in cerca di un rabbocco, segretaria della copisteria Gaburro, pensionato annoiato da una giornata troppo lunga: a Nicodemo bastava un’occhiata per classificare chiunque senza possibilità di errore. Va detto che nel suo locale c’erano soprattutto giornalisti e che per riconoscere questi ultimi non doveva compiere alcuno sforzo: attraverso la vetrina li vedeva ogni giorno lasciare la redazione de "La Nostra Voce" per arrivare assetati al "Prima Pagina".
Nicodemo si era convinto che appartenessero a una categoria omogenea, avvezza a riunirsi in capannelli e a intrattenersi per ore e ore narrando storie improbabili e consumando un insoddisfacente numero di ordinazioni.
«Tutti uguali», diceva scuotendo la testa.
«Si sbaglia, mio caro. Si sbaglia proprio», lo contraddisse un giorno il signor Bargilli, comodamente seduto davanti a un whisky caldo. «Lei li vede come una massa indistinta, ma in realtà si tratta di un’entità molto complessa».
«Davvero?»
«Ma certo», confermò il signor Bargilli afferrando Nicodemo per un braccio. «In nessun consesso troverà più varietà che in un agglomerato di giornalisti. Ciò che a lei sembra materia compatta è il prodotto di elementi molto diversi. Elementi, a volte, addirittura conflittuali».
«Sarebbe a dire?»
«Che ci sono tipi di giornalisti che non sopportano altri tipi di giornalisti. È il caso, per esempio, degli esperti di finanza e dei cronisti sportivi. Sono come acqua e olio, cane e gatto, mogli e sigari. A questo proposito, mi sovviene una storia...»
«Ha sentito anche lei?», tentò di interromperlo Nicodemo. «Una scossa di terremoto!»
Implacabile, il signor Bargilli strinse la presa e incominciò a raccontare.

* * *

Liberto Daverio-Moneta (disse il signor Bargilli) è stato il più abile reporter finanziario che "La Nostra Voce" abbia mai avuto alle sue dipendenze.
La modesta presenza fisica - era un ometto ben al di sotto della statura media - contrastava con la sua natura interiore: egli aveva infatti l’anima di un leone. Non avendo mai messo piede nella savana, gli mancava conferma della sua personale abilità a cacciare gazzelle e neppure aveva intenzione, un giorno, di colmare tale lacuna. La savana - ai suoi occhi - aveva in fotografia l’aria di un luogo secco e polveroso, del tutto inadatto a dignitosi congressi sociali. Liberto non aveva bisogno di recarsi a latitudini impossibili per procurarsi le prede: ne aveva in abbondanza senza muoversi dalla città e, spesso, senza neppure lasciare la redazione.
Le "gazzelle" di Liberto Daverio-Moneta erano informazioni confidenziali sul mondo finanziario, anteprime che venivano bisbigliate nei consessi più esclusivi: i salotti borghesi e i bagni della Borsa.
Erano preziose indicazioni sulla bontà di certe azioni e sulla pericolosità di altre; oppure erano "soffiate" su progetti accarezzati da aziende e società: annessioni, fusioni, aumenti di capitale, riconversioni di archivi in sale da biliardo, eccetera. Tutte cose - finanziariamente parlando - molto succulente di cui Daverio-Moneta non era mai sazio.
Benché i manovratori della finanza cittadina tenessero molto a che nulla trapelasse dei loro maneggi, Liberto aveva antenne sensibili e ottimi informatori.
La sua rubrica ne "La Nostra Voce" era molto seguita, apprezzata e in egual misura temuta. Avevano un bel darsi da fare, finanzieri e agenti di Borsa, per tener segreto ogni piano d’azione e ogni dritta utile a far quattrini: quasi per magia Liberto veniva a sapere ogni cosa e non esitava a darla alle stampe, abitudine che gli uomini d’affari giudicavano al limite dell’indiscrezione.
In redazione era spesso rievocato l’episodio in cui Daverio-Moneta si era fatto assumere come maggiordomo per poter carpire, alla tavola da pranzo di una ricca famiglia di industriali, i particolari della fusione tra la Brendani-Porretti "Acclamate Stufe" e la Limegni-Gorini "Premiati Tubi", fusione volta alla produzione di impianti di riscaldamento di particolare efficienza, in grado di scongiurare l’asfissia in chi si trovasse a soggiornare in una stanza anche più di quindici minuti. Solo i titolari delle ditte erano a conoscenza dell’accordo e tra loro ne parlavano  aggiungendo «ma figurati se faremo mai una cosa simile!» alla fine di ogni frase: Liberto aveva mangiato la foglia e la notizia era stata pubblicata a caratteri di fuoco.
Nessuno era mai riuscito a divulgare le tecniche impiegate dal nostro per catturare le sue prede: Liberto era un solitario che con i colleghi non condivideva neppure un caffè al "Prima Pagina".
Per rendere al meglio, necessitava di una sola cosa: la tranquillità. Aveva dunque voluto che la sua scrivania fosse collocata nell’angolo più remoto e quieto della redazione. Lì, seduto al vecchio tavolo, si immergeva in misteriose conversazioni telefoniche con altrettanto misteriosi informatori, accompagnato dal ticchettio del telegrafo che batteva le ultime quotazioni di Borsa.
Per anni e anni, nel suo lavoro, Liberto Daverio-Moneta non ebbe altra musica di accompagnamento che quel telegrafo e i colleghi, dato per perso ogni tentativo di far comunella con lui, rispettavano ormai il suo desiderio di pace.
Questo, almeno, fino all’arrivo di Porfirio Lapalla.

Mario Schiani

(1 - continua) - Ogni giorno una puntata nella sezione Cultura e Spettacoli

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