Il racconto d'agosto de La Provincia:
"Il gioco della finanza" / 2

Dai tavolini del bar «Prima Pagina», vicino al quotidiano «La Nostra Voce», il signor Bargilli, a suo tempo caporedattore del giornale racconta la vicenda di Liberto Daverio-Moneta, il più abile reporter finanziario che la storia del quotidiano ricordi.

L’arrivo di Porfirio Lapalla a La Nostra Voce coincise con un periodo delicato nella vita professionale di Liberto Daverio-Moneta.
Il formidabile reporter finanziario aveva appena annusato una preda molto ghiotta, forse la più ghiotta che gli fosse mai capitata.
Un informatore, dopo aver insistito mille volte sulla necessità di mantenere l’anonimato - tanto che durante il colloquio si era travestito da cabina del telefono -, gli aveva riferito una succulenta "voce" che circolava negli ambienti industriali: la Stamperia Morletti-Transalpe era sul punto di fondersi con la Tessitura Gangini-Lepontina.
Questa notizia non poteva solleticare il cittadino medio che si sarebbe limitato a scrollare le spalle, passando senza indugi alla lettura della colonna dedicata ai problemi odontoiatrici di Bustina, la cagnolina pechinese del sindaco Ghiozzi, ma per il mondo finanziario si trattava di una "bomba": più di un magnate dell’industria ne sarebbe stato sconvolto, al punto da lasciar cadere sul panciotto la cenere del sigaro. Alcuni, addirittura, non avrebbero potuto resistere alla tentazione di esclamare "caspita!" abbandonando intatta una seconda porzione di Saint Honoré.
Liberto sentiva già i polpastrelli prudere all’idea di poter mettersi alla macchina per scrivere e annunciare l’eccezionale avvenimento.
Ma c’era un problema: non riusciva a trovare conferma della notizia. L’informatore gli aveva spifferato niente più di un pettegolezzo: il suo compito, ora, era di verificarne l’esattezza e di aggiungervi quanti più particolari possibili.
Aveva per questo messo in moto tutte le sue conoscenze, attinto a tutta la sua abilità di giornalista e fatto ricorso a ogni trucco del mestiere.
Risultato, nullo.
Gli amici più fedeli si erano rifiutati di collaborare, gli "agganci" più collaudati avevano scosso la testa e i "pettegoli finanziari" più loquaci erano di colpo ammutoliti. Liberto aveva la sensazione che, intorno, gli avessero fatto terra bruciata: la cricca finanziaria stavolta aveva deciso che nulla doveva trapelare.
Da settimane ormai aveva i nervi tesi per la frustrazione quando, un pomeriggio di settembre, le cose andarono anche peggio.
In quel solo giorno aveva sprecato forse cinquanta telefonate senza riuscire a ottenere il benché minimo risultato: solo no comment e silenzi ostinati.
C’era di che diventar pazzi ma era deciso a non arrendersi. Strette le tempie tra le mani e chiusi gli occhi, cercava l’idea vincente.
Di colpo, una voce tonante interruppe la sua concentrazione.
«Qui, qui ho detto! Dannazione, che vi prende? Ho detto che la voglio qui, la scrivania. E posatela, dunque! Mi venga un colpo se vi lascerò dieci centesimi di mancia. Pedate nel sedere avrete, invece!»
Liberto aprì gli occhi: un individuo reduce da troppe colazioni caloricamente sfrenate strillava ordini a una squadra di facchini come un generale in pensione.
«Vi staccherò la testa!», berciava. «Vi staccherò la testa in un colpo solo se rovinerete la mia radio».
Liberto vide che i facchini stavano per depositare uno scatolone di legno delle dimensioni di un piccolo armadio proprio accanto alla nuova scrivania che - oltraggio degli oltraggi! - era stata collocata a non più di cinquanta centimetri dalla sua. I facchini completarono l’opera installando un telefono e arredando il tavolo con una pesante macchina per scrivere.
Liberto si eresse in tutta la sua statura.
L’effetto fu modesto. Credette allora opportuno aggiungere un vibrante «che cosa sta succedendo, qui?!»
L’uomo non lo udì neppure. «Maledetti facchini!», brontolava. «Il diavolo se li porti. Assassini di mobili».
«Esigo una spiegazione!», lo investì Liberto.
Stavolta l’intruso si decise a dargli retta.
«Eh? Oh! Spiegazione? Certo che sì, mio caro. Certo che sì». Tese a Liberto una mano delle dimensioni di un badile e passò senza indugi al "tu" in uso tra colleghi.
«Porfirio Lapalla, cronista sportivo. Tuo vicino di scrivania, da oggi. Mio caro, ne sentirai delle belle: non ci si annoia quando Porfirio è in azione».
«Capisco», disse Liberto. «Ma io, vede... Ecco, il fatto è...»
«Il fatto è che qui c’è bisogno di aria fresca, rubriche nuove. Occorre stuzzicare il lettore, svegliarlo, provocarlo. Se necessario, prenderlo a calci nel fondoschiena. E ti assicuro che a tal proposito nulla è più efficace di una cronaca sportiva: corse di cavalli, partite di calcio, vigorose mischie a rugby, una leale scazzottata sul ring. E io sono qui per questo, amico mio bello, proprio per questo. Farò scintille, vedrai!».
«Ecco, in quanto alle scintille...»
«Scintille, ho detto?», riprese Lapalla (il quale amava una buona conversazione a patto che fosse soltanto lui a parlare): «Ma quali scintille! Porfirio è un vulcano, non un acciarino. Avrei dovuto dire colate di lava, incendi devastanti, fucine incandescenti e, per completare la festa, fuochi d’artificio. Te ne accorgerai».
«Le chiedo scusa, ma temo di dover esigere un po’ di quiete...»
«Quiete?», sghignazzò Lapalla. «Di quella ne avrai in abbondanza quando sarai morto, mio caro. Il che, a giudicare dalle occhiaie, potrebbe accaderti anche troppo presto».
«Ma come si permette!?»
«Porfirio si permette, omino bello. Porfirio si permette sempre. Ma vedrai che andremo d’accordo. Sono un buon diavolo e dalle mie parti una risata e una fumata sono sempre assicurate». Lapalla produsse dalla giacca un sigaro lungo come un braccio . «Fumati questo, intanto. Vedrai che ti farà bene».
Ciò detto, sprofondò nella sedia accostata alla scrivania e, piazzati i piedi sulla medesima, accese la radio. Dall’apparecchio sgorgò un convulso vociare: la cronaca di un match di lotta libera.
Liberto tratteneva a stento lacrime di rabbia.
Mario Schiani
(2 - continua) Ogni giorno una puntata nella sezione Cultura e Spettacoli

© RIPRODUZIONE RISERVATA