Il racconto d'agosto de "La Provincia"
Il gioco della finanza/8

Seduto in tribuna Liberto contemplava soddisfatto il risultato dei suoi sforzi

Era certo un pubblico adeguatamente imbandierato, striscionato, tamburato, trombettato e impetardato quello che si strinse attorno alle squadre la domenica della fatidica partita. Seduto in tribuna una mezz’ora buona prima del calcio d’inizio, Liberto Daverio-Moneta contemplava soddisfatto il risultato dei suoi sforzi organizzativi. I giocatori della Sanclemenzianese, al loro ingresso in campo, potevano contare un’atmosfera calda ed entusiasta. Al contrario, quelli dell’Imperial Branzoni avrebbero avuto l’impressione di essere precipitati in un girone infernale dipinto con i colori rosso e nero. L’oste Ferdinando, imbacuccato in una sciarpona con le insegne della squadra, si congratulò vivamente: «Mai visto un pubblico così», affermò. «Non usciranno vivi dalla nostra tana». Liberto annuì pregustando una giornata di sport del miglior tipo possibile: quella in cui la propria formazione fa a pezzi gli avversari per danzare con scarponi chiodati sui resti fumanti. In attesa della partita, aprì un cartoccio nel quale trovò due panini al salame confezionati apposta per lui Ai Tre Cetrioli e incominciò a masticare di gusto. Assorbito dal piacevole sapore dell’insaccato, sulle prime il tramestio alle sue spalle gli sfuggì. «Fate passare, accidenti. Fate passare. Ho tanto di regolare biglietto: ecco qua. Fatemi largo, serpi rosse e nere. Non ho paura di voi neanche presi in mazzi da cinquanta». Quando finalmente si voltò, Liberto poté scorgere un individuo corpulento, munito di baffoni all’insù che procedeva lungo le assi della tribuna. Portava al collo un fazzoletto della Imperial Branzoni e avanzava come un carro armato nella fanteria nemica. «Il posto migliore per vedere la partita è questo e non mi rassegnerò a niente di peggio. Potete provare a impedirmelo, ma non ve lo consiglio. Sappiate che in città un’intera ala dell’Ospedale è intitolata a mio nome e non certo perché abbia elargito generose somme al Reparto Geriatria. Piuttosto, è a causa del continuo afflusso di pazienti che garantisco al Pronto Soccorso». Grazie a queste minacce e ad altre di uguale effetto, l’omaccione riuscì, pur bersagliato da sguardi omicidi, a farsi largo tra i tifosi della Sanclemenzianese. Al colmo della sfacciataggine, prese posto proprio accanto a Liberto. Questi sentì il sangue salirgli alla testa e le mani prudere dalla gran voglia di sberle, ma si costrinse a mantenere un contegno indifferente. «Stiamo a vedere cosa succede», pensò. «C’è sempre tempo per dare una lezione a questo gaglioffo. Al primo "goal" della Sanclemenzianese abbasserà le sue arie da spaccone». La partita incominciò ma, nonostante gli sforzi profusi dai giocatori sul campo e dai tifosi sugli spalti, il "goal" agognato da Liberto tardava ad arrivare. L’imbarazzante ritardo suscitò sulle labbra dell’anonimo omaccione un fiorire di espressioni oltraggiose. «Donnette», berciava. «Nient’altro che donnette. Altro non vedo in quelle maglie rosse e nere». Quando un attaccante della Sanclemenzianese lasciò partire un tiro che si perse nelle campagne, l’omaccione scoppiò a ridere senza ritegno. «Ma che tiro era? Il vostro attaccante cercava di abbattere un fagiano? Cercava di raggiungere la Luna?» E piantò una gomitata nel fianco di Liberto. Il nostro eroe aveva ormai esaurito ogni riserva di autocontrollo e tuttavia, stretti i pugni, trovò il modo di tenere la bocca chiusa. «Una barzelletta», continuava l’omaccione. «Questa Sanclemenzianese è roba da ridere: neanche in una settimana riuscirebbe a farci un "goal"». Liberto soffocò un’esplosione di rabbia e cercò di concentrarsi sulla partita. In quel momento, l’attacco della Sanclemenzianese produceva il massimo sforzo. Il centravanti conquistò il pallone e puntò alla porta avversaria. Avanzava ancora palla al piede quando un difensore dell’Imperial Branzoni stabilì che era tempo di stroncare l’iniziativa e costrinse il giocatore in rosso e nero a ripensare la sua strategia stampandogli una scarpata sul polpaccio. Il centravanti crollò in piena area. Liberto balzò in piedi come spinto da una molla. «Rigore!», urlò. «Arbitro! Rigore!» «Ma che rigore...», commentò serafico l’omaccione. «Tutta scena, il nostro giocatore non l’ha neppure sfiorato. Donnette, ve l’ho detto. Siete soltanto un branco di donnette...» Liberto si irrigidì come se un vento polare lo avesse congelato. «Come dice?», chiese. «Dico che il vostro giocatore è una donnetta. Non solo: è anche un truffatore. Come ha finto quel fallo? Oh, una meraviglia: roba da teatro». Una nebulosa di puntini rossi e neri perturbò la vista di Liberto e nelle orecchie il battito del cuore gli rimbombava come un tamburo di guerra. Continuò a fissare il campo in attesa della decisione dell’arbitro. Costui raggiunse a passo di corsa il punto dello scontro e fece segno al giocatore della Sanclemenzianese di rialzarsi. Niente! L’arbitro non concedeva il calcio di rigore! «Che cosa vi avevo detto?», sghignazzò l’omaccione. «Non è caduto nel tranello. Sa bene di avere a che fare con una squadra di imbroglioni». Liberto non ci vide più. Si avventò sull’omaccione e incominciò a menar pugni a stantuffo. Colpì a testa bassa, resistendo ai pugni che l’avversario cercava di restituire, fino a quando non si sentì afferrare per la collottola. Allora alzò gli occhi e incontrò lo sguardo severo di un poliziotto in uniforme. «Basta così, voi due! In camera di sicurezza vi passerà la voglia di menar le mani!».
 
Mario Schiani

(8 - continua)

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