Il terzo racconto d'agosto:
<Amore in breve>/2

Nella colonna di notizie redatta da Rufino apparve l'annuncio di un incontro

"L’Associazione culturale Liberi Tutti annuncia per questa sera un convegno  dal titolo ’Il pensiero liberale come ricamo: punto e Benedetto Croce’. L’appuntamento è per le ore 21 nel salone civico di via alle Porte".

Questa breve di cronaca comparve un bel mattino nella colonna di Rufino Nosvelli.
Era una breve del tutto rispettabile, concisa come è d’uso e con tutte le necessarie informazioni al posto giusto.
Purtroppo, era anche falsa.
Potete benissimo inarcare un sopracciglio o anche due (un numero superiore sarebbe davvero sorprendente) e accusare Rufino di una grave violazione all’etica giornalistica, la quale impone, come è noto, di non inventare una notizia a meno che non si sia sicuri di farla franca.
Potete giudicare il nostro eroe un cialtrone, un disonesto e un disonore per la sua categoria. Non possiamo impedirvelo: avreste le vostre buone ragioni.
Non dimenticate però che Rufino, come tutti coloro che svolgono una professione pubblica, bramava sopra ogni cosa il consenso popolare. Come il tenore si deprime quando il teatro è vuoto ma aspetta fiducioso che almeno uno spettatore si faccia vivo; come il pittore fallito che, sulla porta della galleria d’arte, comunque attende trepidante i visitatori alla sua mostra; come il clown che, in un circo vuoto, stinge di lacrime il cerone ma spera che un bambino, un bambino solo, prima o poi sieda sulla tribuna, anch’egli sognava contro ogni evidenza che la sua colonna di brevi potesse contare su un seguito fedele se non proprio folto. Immaginava che qualcuno scorresse ogni giorno quelle righe fitte di convegni e serate mondane, inaugurazioni e Lecturae Dantis, al fine di programmare le sue serate.
Quella di Rufino era una violazione al codice etico - non possiamo negarlo - ma perpetrata allo scopo di soddisfare una domanda esistenziale: quell’oscuro lavoro che da anni lo consumava aveva una ragione, uno scopo? Oppure, come spesso accade nelle cose della vita, tutto era vano e superfluo?
Bisogna anche osservare che non proprio ogni parola, in quella breve, era falsa. Non esisteva alcuna Associazione Liberi Tutti, questo no. E neppure un convegno dedicato al punto e Croce liberale. Ma la sala civica di via alle Porte esisteva eccome e, la sera, sarebbe stata illuminata e pronta ad accogliere il pubblico.
Rufino aveva regolarmente pagato l’affitto della sala, anticipando anche le spese di illuminazione e la paga dell’addetto a disporre le seggiole in platea. Non solo, si era anche fatto carico di un buffet grazie al quale l’eventuale pubblico se ne sarebbe tornato a casa, almeno, con la pancia piena.
Il suo piano era questo: se un buon numero di persone si fosse presentato all’appuntamento, aveva intenzione di salire sul palco e, dopo un leggero inchino, raccontare tutta la verità.
«Gentili signori», avrebbe incominciato. «Siete vittime di un raggiro di cui mi assumo per intero la responsabilità. Ma prima che i più intraprendenti tra voi si diano da fare per trovare corda e sapone, sappiate che la truffa è stata architettata a fini scientifici. Desideravo avere prova dell’efficacia dei mezzi di informazione locali. La vostra presenza mi è di conforto nello svolgimento della professione e, cosa più importante, sottolinea l’alto compito esercitato dalla stampa nella nostra società. Credetemi, potete essere fieri di aver contribuito alla riuscita di un esperimento di tale importanza. Vi prego, ora, di notare la freschezza di questi pasticcini alla crema».
Così dicendo, sperava di potersela cavare senza denunce e, soprattutto, senza che nessuno si sentisse in diritto di prenderlo a scarpate. Avrebbe perfino rimborsato il biglietto del tram a chi ne avesse avuto necessità.
Forte di questo piano, Rufino si presentò alla sala civica poco prima delle 21. L’addetto alle sedie aveva fatto il suo dovere e l’incaricato del buffet anche. Rufino li ringraziò ed elargì mance che vennero accettate con l’espressione tipica di chi accidentalmente posa il piede in una pozzanghera.
Rimasto solo, Rufino sedette in un angolo defilato della sala da dove, senza poter essere visto, era in grado di controllare l’afflusso del pubblico.
Presto si accorse che non c’era nulla da controllare. L’accesso alla sala dava su una delle strade più frequentate della città e passavano non poche persone: nessuna manifestò l’intenzione di entrare.
Non si perse d’animo. Sapeva che in queste occasioni è obbligo concedere al pubblico il "quarto d’ora accademico" di ritardo e pertanto si dispose all’attesa con animo saldo e e sereno.
Di quarti d’ora ne passarono quattro e, mano a mano, sembravano sempre meno accademici ma Rufino, deciso di condurre l’esperimento fino in fondo, non si mosse dal suo nascondiglio.
Passò un’altra mezz’ora e la sala restò vuota come la testa di uno scolaro dell’ultima fila.
Alle 22,30 si udì un rumore: era un sospiro di Rufino. Si era finalmente convinto che fosse inutile insistere: avrebbe ritirato il buffet, spento le luci della sala e restituito la chiave della sala civica.
Si avvicinò sconsolato al buffet pensando allo spreco che stava per essere compiuto, in particolare ai danni di una torta alla crema di lampone che troneggiava al centro del tavolo.
Forse perché di lamponi era goloso fin da bambino o forse perché il fallimento della serata lo aveva amareggiato al punto che avvertiva urgente bisogno di dolcezza, sta di fatto che si sentì pervaso dal desiderio di assaggiarne una fetta.
La pasticceria, da che mondo e mondo, è una grande consolatrice delle afflizioni umane e a Rufino sembrava di essere afflitto abbastanza per poterne approfittare. Sul suo volto un’espressione golosa gradualmente si sostituì alla mestizia mentre affondava la lama di un coltello nella delizia tentatrice.
Stava giusto estraendo una fetta quando udì uno scalpiccìo.
Si voltò.
Sulla porta c’era una ragazza.

Mario Schiani
      (2 - continua)

© RIPRODUZIONE RISERVATA