La lunga marcia
sulla via di Buddha

In libreria, dal 9 ottobre, il nuovo libro dello scrittore comasco Mario Biondi, ispirato ai reportage dall'India al Tibet scritti per La Provincia

Pubblichiamo un estratto di «Con il Buddha di Alessandro Magno. Dall’Ellenismo sull’Indo ai misteri del Tibet» (Ponte alle Grazie, 316 pag., 16,80 euro), di Mario Biondi, scrittore e collaboratore de «La Provincia». Il reportage, da oggi in libreria, prende origine dagli articoli scritti da Biondi per il nostro quotidiano.



di Mario Biondi

Secondo me i veri viaggi si alimentano di se stessi: da uno ne nasce un altro, dal fascino di un luogo deriva l’impulso ad andarne a visitare un altro, e altri ancora. Quindi per adesso non so bene come si svilupperà nè dove andrà esattamente a concludersi questa storia, se non necessariamente da qualche parte del Tibet, ma so per certo che comincia a Bisotun. D’accordo, Bisotun (o Bisitun, Bisutun, Behistun) non è uno dei luoghi più noti del mondo, nascosto come si trova là nel cuore delle montagne dell’Iran, che un tempo era la Persia degli Alchemenidi.
Eppure agli occhi della Storia è un sito di grande importanza, e non soltanto per la sua collocazione centralissima sulla Strada dei Re, poi divenuta Via della Seta: un itinerario che conduceva da Susa a Ecbatana (e viceversa), capitali di Ciro e Dario. A Occidente proseguiva verso Babilonia e il Mediterraneo, a Oriente verso i deserti, le steppe e le montagne dell’Asia Centrale, fino in Cina. Un viaggio lunghissimo, che secondo alcuni sarebbe sempre stato affrontato bene soltanto dai «viaggiatori britannici». Ma Marco Polo era di Chelsea? E venivano da quei dintorni Giovanni da Pian del Carpine e Odorico da Pordenone? Erano di Manchester o Liverpool i padri Mattia Ricci, Ippolito Desideri e Francesco Orazio Olivieri della Penna? Non mi pare. Eppure, armati soltanto della loro curiosità e fede, arrivarono in Mongolia, a Pechino e addirittura a Lhasa (gli ultimi due) secoli prima che i britannici vi si spingessero a colpi di mitragliatrice nel 1904 dalla confinante India. E ancora: erano britannici Giuseppe Tucci, Fosco Maraini, Luciano Petech?
 Intorno al 1200 non so quanti britannici ci fossero a Yangzhou, Cina - importante centro commerciale sullo Yangtze -, ma per certo ci viveva circa un migliaio di Farangi, ovvero "franchi", come erano chiamati gli occidentali latini in tutto il Vicino, Medio e Lontano Oriente. E i due ultimi presidenti cinesi, Jiang Zemin e Hu Jintao, vengono proprio da lì, quindi non si può escludere che nelle loro vene scorra qualche goccia di sangue disceso da quei "latini". Marco Polo fu inviato a Yangzhou da Kubilai Khan come funzionario tra il 1282 e il 1287 circa. E la scoperta in loco della tomba (1342) di Caterina Vilioni, appartenente a una facoltosa famiglia di commercianti italiani (con ogni probabilità genovesi) pone una forte ipoteca sulla possibile nazionalità di questi "latini". Due anni più tardi, secondo un’altra targa, morì lì anche suo fratello Antonio. Il francescano Odorico da Pordenone, che visitò la città nel 1322, riferì di esservi stato ospitato da appartenenti al suo stesso ordine. Britannici?
Partiamo dunque da Bisotun, in Persia, tra Kermanshah e Hamedan. Nel XIX secolo, altissimo su una roccia a strapiombo, vi fu scoperto, o perlomeno portato all’ampia conoscenza del mondo, un rilievo di straordinaria importanza. Il primo a parlarne era stato Ctesia di Cnido nel 400 circa prima dell’Era Comune ma nessuno si era mai dato la pena di inerpircarsi lassù per cercare di decifrarlo. Si tratta di un rilievo achemenide in cui Dario racconta i propri atti esemplari, un po’ come più tardi avrebbe fatto l’imperatore Augusto con le sue Res gestae. Di queste ultime mi pare che sia sopravvissuta soltanto, molto malconcia, la stele del tempio di Augusto ad Ankara, tutta sorretta e nascosta da tubi Innocenti. Avendola visitata diverse volte, mi era parso doveroso (viaggio che genera viaggio...) andare a rendere omaggio anche all’iscrizione di Dario. Ecco il motivo del mio vagabondare a Bisotun.

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