La morte di Mussolini?
Un suicidio annunciato

Un libro ipotizza che il duce abbia preso del cianuro. "Il capo del fascismo già da tempo meditava di darsi la fine"

L’ombra del suicidio (con una capsula di cianuro), precedente la fucilazione, si allunga sulla morte di Benito Mussolini, il 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, in provincia di Como. È la tesi, ardita, ma suffragata da numerose ricerche, sostenuta dal professor Alberto Bertotto in «La morte di Mussolini. Una storia da riscrivere» (Paoletti, D’Isidori, Capponi Editori, 286 pagine, 18,80 euro), fresco di stampa, di cui anticipiamo alcuni stralci.


di Alberto Bertotto

In seguito al fallimento della riunione in Arcivescovado con i rappresentanti della Resistenza (25 aprile 1945, ndr), Mussolini medita il suicidio. Nel palazzo prefettizio di corso Monforte (Milano), dopo aver tratto da un cassetto una piccola rivoltella, si è rivolto al generale Filippo Diamanti dicendo: «A me ci penso io». Così lo descrive in quei momenti il suo medico tedesco Georg Zachariae: «Il suo viso era estremamente contratto pallido come la morte... Anche i suoi occhi espressivi avevano perso la loro lucentezza. Mi fece l’impressione di un uomo gravemente malato, che si sentisse perduto».
Ribadisce il generale Graziani: «Incerto e squassato dalla raffica degli avvenimenti e dalla violenza degli uomini, Mussolini mostrava di non sapere a quale decisioni attenersi». Dalla Prefettura di Como, il 25 aprile, Mussolini telefona alla moglie affermando: «Non c’è più nessuno intorno a me, anche il mio autista mi ha abbandonato; sono solo, tutto è finito». In precedenza le aveva scritto: «Cara Rachele, eccomi giunto all’ultima fase della mia vita» (...).

Il pensiero della fine

Nel 1932, a conclusione dei colloqui con il giornalista ebreo tedesco Emil Ludwig, Mussolini aveva detto: «Ognuno muore come, secondo il suo carattere, deve morire. Il duce, come l’uomo di Johann Wolfgang Goethe, "Voleva morire quando si vuole"». Eppure un giorno il dittatore aveva asserito: «Così il fascista accetta, ama la vita, ignora e ritiene vile il suicidio; comprende che la vita come dovere, elevazione, conquista: la vita che deve essere alta piena: vissuta per sè, ma soprattutto per gli altri, vicini e lontani, presenti e futuri». Acutamente Franco Bandini ha scritto nel 1978: «E dunque come muore Mussolini? Livido di terrore, come tramandò il colonnello Valerio, oppure dicendo "sparami al petto", come riferì molto più tardi un testimone, che poi forse non c’era? Fu avvelenato, oppure fucilato, oppure sparato alla nuca? Si dette, per caso, la morte di sua mano? O lo uccisero i suoi fedeli?
E se fu ucciso, chi lo uccise e perchè? Cosa successe veramente in quelle tragiche ore che vanno dall’alba alle 16 del pomeriggio del 28 aprile 1945? Nessuno, benché suoni strano, perquisisce lei (Claretta), nessuno perquisisce lui (Mussolini): e quindi nessuno può escludere che non nascondano una capsula di cianuro, non si dice nel castone di un anello, che sarebbe romanzesco, ma semplicemente in un taschino, nel portafoglio (...)».

Un’ipotesi che ritorna

L’ipotesi del suicidio mussoliniano in casa De Maria, in seguito all’ingestione di cianuro, aveva intrigato anche Giovanni Artieri nel 1981. Egli ha affrontato il problema solo di sfuggita: «È ben probabile, anzi, che la vita dei due (Mussolini e la Petacci) sia finita proprio qui, nella casa De Maria, ove insieme dormirono e insieme potrebbero essersi suicidati mediante capsule di cianuro». Secondo Marcello Trinali, il duce si sarebbe invece suicidato usando una pistola che non gli era stata sequestrata nè al momento dell’arresto nè dopo. Il Trinali cita l’opuscolo "Le ultime giornate di Mussolini e di Claretta Petacci" di "Storicus" in cui viene riportata la testimonianza di una certa partigiana Bianchi che a sua volta ricorda un’affermazione di Giacomo De Maria secondo cui, la notte dell’arrivo di Mussolini, era sparito un coltello da cucina ritrovato successivamente nella camera dei prigionieri. Il duce, meditando il suicidio, avrebbe rubato il coltello perchè aveva il timore di essere perquisito e quindi di essere privato della sua pistola. Nel 1966 il Trillai non poteva conoscere quanto ha scritto Urbano Lazzaro (il partigiano Bill) vent’anni dopo: «Mussolini si sbottona il pastrano. Infilata tra la camicia e i pantaloni, all’altezza della cintura, ha una pistola Glisenti automatica, calibro 9, mancante di una guancia. La sfila e me lo consegna. Me la caccio in tasca».

Il coltello e il cianuro

Sul coltello tagliente ed aguzzo il Monelli si è così espresso: «Giacomo de Maria è sicuro che Mussolini l’avesse preso per vaghi progetti di attività e di audacia che il sonno e la stanchezza soffocarono subito. Di certo l’arma bianca, in mano ad un uomo di sessantadue anni, prostrato dalla depressione dalla fatica fisica sarebbe servita ben poco di fronte ai mitra imbracciati dai due giovani e baldi partigiani di guardia. È impensabile che il dittatore l’avesse sottratto con bellicose intenzioni. Forse il coltello appuntito poteva essere impiegato (con la punta o con il manico per infrangere una protesi rimovibile in resina contenente la capsula di cianuro impiantata a Rastenburg da un dentista tedesco». Il già menzionato dottor Ugo Molini, noto dentista di Roma, mi ha detto: «È possibile nascondere una capsula di cianuro in un dente in resina di una protesi rimovibile.
È anche possibile costruirlo in maniera da poterlo infrangere con la punta di un coltello per prelevarla». Anche il professore Marco Finotti di Padova si è espresso in questo senso: «In linea teorica le sue supposizioni potrebbero essersi realizzate in quanto è possibile, con una punta aguzza, rompere una protesi in resina al cui interno era alloggiato un micro contenitore».



Lo storico Giorgio Cavalleri:
"Ipotesi che rende perplessi"

Alberto Bertotto avanza dubbi sulla versione ufficiale inerente la morte di Benito Mussolini, che lo vede giustiziato da un partigiano comunista davanti al cancello di villa Belmonte a Giulino di Mezzegra. Contro questa versione ufficiale Bertotto ipotizza un tentato suicidio da parte del duce, che avrebbe tenuto tra i denti una capsula di cianuro: un tentativo stroncato dal mitra dei partigiani, che avrebbero poi simulato una seconda fucilazione. Ne abbiamo parlato con Giorgio Cavalleri, scrittore e storico comasco e autore del libro "Ombre sul lago. I drammatici eventi del Lario nella primavera-estate 1945" (Grafica Esse Zeta, 2007, 15 euro).

Cavalleri, il nuovo libro di Alberto Bertotto ipotizza un tentativo di suicidio da parte del duce. Qual è la sua opinione al riguardo?

Sono tutte cose che ritengo un po’ superate. Non ritengo che ci sia niente da riscrivere nel senso che la versione ufficiale più o meno è quella e io credo a quella versione, salvo qualche piccolo dettaglio non preciso, come per esempio che a sparare non è stato il colonnello Valerio ma altri, come è stato scritto in tanti libri, come in "Ombre sul lago": però non c’è nulla da riscrivere perché in linea di massima la versione ufficiale è questa, il resto sono tutte sciocchezze, elucubrazioni assurde.

Perché continuano ad arrivare versioni discordanti al riguardo?

Siccome è una cosa che più o meno tira, desta sempre un interesse, ma credo che con tutti i problemi che l’Italia ha in questo periodo forse sarebbe meglio smetterla con queste assurdità, che vanno avanti da sessant’anni: non ha senso, a mio parere, continuare a tirar fuori queste storie.

Manuela Moretti

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