Maria Antonietta va alla guerra
Eroismo femminile al fronte

La maestra comasca Clerici Coratolo, infermiera volontaria nel 1917, fu internata per sei mesi in Austria. La sua storia, poco nota, riemerge dagli archivi in occasione dei 90 anni del primo conflitto mondiale

«Il primo reparto, vuoto alla sera avanti, si era durante la notte, riempito di gravissimi operati,uno, due giorni avanti, negli ospedali più avanzati. Feriti al cranio, al petto all’addome, moltissimi polmonitici. Qualcuno agonizzava. Anche dentro di me qualcosa agonizzò e si spense… L’attaccamento alla vita. Sentii che la mia persona scompariva di fronte a quegli infelicissimi, sentii che qualsiasi sorte, qualunque sventura mi fosse riservata, io non potevo lasciare quei ragazzi, che tutto avevano dato alla Patria».
 Questo drammatico brano è tratto dalle prime pagine del libro "Al di là del Piave, coi morti e coi vivi. Ricordi di prigionia" scritto da Maria Antonietta Clerici Coratolo, comasca, crocerossina volontaria durante la Grande Guerra assegnata, dalla primavera del 1917, all’ospedale da campo n. 014 di Perteole (Udine). Nell’ottobre del 1917, dopo la disfatta di Caporetto e la tragica ritirata dell’esercito italiano, pur avendo ricevuto l’ordine di partire una volta evacuato l’ospedale, si rifiutò di lasciare i feriti gravi e intrasportabili a lei affidati e venne quindi catturata ed in seguito internata nel campo di concentramento di Katzenau, in Austria.
Condivise questa scelta e la stessa prigionia con altre due crocerossine volontarie, la comasca Maria Andina, figlia del presidente della Deputazione Provinciale di Como, con lei a Perteole, e l’italo-polacca, Maria Concetta Chludzinska. Il caso delle infermiere internate salì alla ribalta della cronaca locale e nazionale. La prigionia durò circa sei mesi e si concluse per tutte e tre con il "ritorno a casa", il 5 maggio 1918, dopo lunghe trattative condotte dalla Croce Rossa e dal Nunzio apostolico di Vienna mons. Teodoro Valfrè di Bonzo (vescovo di Como dal 1895 al 1905). Il libro, pubblicato nell’agosto del 1919 e successivamente ristampato, riprende proprio le pagine del diario che la Clerici aveva iniziato a scrivere il 2 novembre 1917, con il racconto dei giorni precedenti e la descrizione del clima di incertezza e confusione seguìto a Caporetto.
Con l’internamento a Katzenau, alla fine di dicembre, di colpo venne meno la speranza del rimpatrio e il diario, che riuscirà a nascondere e a portare poi in Italia, sarà per lei sfogo e conforto all’angoscia dell’animo, per noi preziosa testimonianza. Il libro della Clerici (anche l’Andina nel 1921 dette alle stampe le sue memorie), si distingue per il tono semplice e nello stesso tempo vibrante, che riesce a commuovere il lettore. Sono pagine di vita vissuta che narrano, senza artifici letterari, con l’immediatezza del dramma ancora in atto, le umiliazioni e le sofferenze sopportate, lo squallore della fame, del freddo e della miseria che scandiva le giornate dei prigionieri, ai quali cercò di dare in tutti i modi - insieme alle compagne - il proprio aiuto, come del resto aveva fatto nel mese precedente trascorso all’ospedale di Perteole, passato sotto la direzione sanitaria austriaca, a continuare ad assistere i degenti.
Per questa prova di coraggio e altruismo la Clerici ricevette tanti riconoscimenti ufficiali, fra cui la medaglia d’oro del Comune di Como (conferita anche all’Andina) e la medaglia Florence Nightingale la massima onorificenza concessa dalla Croce Rossa Internazionale,che premiò le sue stesse compagne. Se è utile e interessante riscoprire questo libro, a quasi novant’anni dalla fine del conflitto mondiale, lo è altrettanto conoscere meglio la sua autrice. Grazie a ricerche e soprattutto alla testimonianza diretta delle due figlie, Angiola ed Enza, oggi ottantenni, siamo riusciti a tracciarne il profilo. Ci troviamo di fronte una donna davvero eccezionale, attiva e intraprendente, con un carattere forte e volitivo che metterà sempre al servizio del prossimo.
Nata nel 1884 in una famiglia numerosa ma benestante, insegnante elementare nelle Scuole di via XX Settembre, fu tra le fondatrici delle Scuole Operaie Femminili «Studio e Lavoro». La tragica esperienza della prigionia la segnò. Raccontava alle figlie che, tornata dall’internamento, per diverso tempo dovette dormire per terra, ormai abituata ai duri tavolacci delle baracche. Era riuscita a portare con sé anche diversi esemplari di carta e moneta speciali usati all’interno del campo, ora custoditi con cura dalle figlie insieme alle numerose onorificenze e ai molti ricordi. Modesta e schiva di ogni protagonismo, la sua "missione" continuò anche negli anni successivi. Nel 1921 si recò a Palmi, in Calabria, incaricata dalla CRI a prestare servizio quale assistente sanitaria presso l’Ambulatorio di Igiene Sociale, occupandosi in particolare dei tubercolotici.
Qui conobbe il futuro marito, di diversi anni più giovane, che portò a Como e impose alla famiglia sposandolo nel 1923. Nella città natale continuò il suo lavoro di insegnante elementare anche dopo la nascita delle figlie e fino ai primi anni Trenta, per poi dedicarsi ad attività di beneficenza e all’organizzazione di spettacoli teatrali nell’ambito dell’Opera Nazionale Balilla.
Nel periodo 1943-45, in virtù di indiretti legami di parentela con un colonnello addetto all’Ufficio politico investigativo della Guardia Nazionale Repubblicana di Como, riuscì a far uscire di prigione alcuni giovani antifascisti arrestati. Morì nel luglio del 1961. Al funerale le furono tributati onori solenni dalla "grande famiglia" della Croce Rossa. Il suo esempio di dedizione al prossimo durante il primo conflitto mondiale vale anche da solo a proporre il suo nome, insieme a quello di Maria Andina, per l’intitolazione di una via cittadina.
Elena D'Ambrosio

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