Quel lago reso magico
dalla mano dell'uomo

Una raccolta di stampe del borgo tra Seicento e Novecento
restituisce luci e sfumature che sembravo vivere di luce propria

La tela e il pennello, l’acquarello, la pagina scritta, l’arazzo, l’obbiettivo di una macchina fotografica o le sequenze cinematografiche: non c’è quasi strumento d’espressione che il fascino del lago non abbia fatto proprio, piegandolo alla riproduzione delle sue bellezze. La stampa, in tutte le sue varianti, rappresenta tuttavia un tramite dotato di una propria specifica capacità di restituire luci, atmosfere, sfumature che sembrano vivere di vita propria, quasi aggiungendo all’incanto dei paesaggi una propria particolare espressività. La considerazione viene naturale sfogliando le pagine di un bel volume, intitolato <Itinerari ottocenteschi dell’antico borgo di Bellagio e dintorni - Raccolta di stampe tra il Seicento e il Novecento>, opera di Carlo e Lodovico Gilardoni e di Sissi De Carli, pubblicata dalla casa editrice Stefanoni.

Nell’ampia sequenza di immagini riprodotte e corredate dalle indicazioni indispensabili, si ritrova un percorso di grande interesse attraverso il tempo e le tecniche utilizzate. Un percorso che, in parte imprevedibilmente, non soffre di ridondanze e ripetizioni malgrado l’esiguo angolo di mondo che fa da protagonista costante delle vedute, ognuna delle quali presenta caratteristiche originali e parla dell’esecutore e della sua sensibilità non meno che del soggetto rappresentato.

Quest’ultimo - avvertono opportunamente gli autori in prefazione - deve la propria capacità di sedurre il visitatore tanto ai doni di un paesaggio irripetibile quanto all’opera dell’uomo. Ad attrarre, insomma, non è una natura intatta e selvaggia, ma un lago "costruito". Vale a dire un ambiente che l’uomo ha saputo modificare seguendo un proprio coerente disegno: nei giardini e nei parchi sapientemente "educati", nelle ville capaci di integrarsi e di fondersi senza stridore nell’ambiente circostante, nella distribuzione degli abitati che vestono le pendici dei colli. La lezione è sempre attuale, forse più che mai oggi, a fronte di tentazioni sconsiderate di interventi senza altra logica che quella del profitto che finirebbero per rompere un faticoso equilibrio raggiunto nei secoli.
Del resto, proprio questo equilibrio fatto di similitudini e discordanze, di riflessi d’acque e di cielo e insieme di nettezza di architetture, di alberi e di colli, si riconosce quasi sempre nelle stampe proposte, dove assai spesso compare l’elemento umano - la madre col bambino sulla soglia della casa colonica, il viandante sperduto nella contemplazione di un lontano comballo, il pescatore solitario - che pare fondersi con gli altri, quelli naturali, in perfetta simbiosi.
Un cenno meritano le ultime tavole del volume, fotolitografie a colori novecentesche, che costituiscono interessati tentativi - non sempre riusciti - di un cromatismo che negli esiti migliori si mostra capace di evocare certe atmosfere così tipiche del lago da risultare difficilmente riproducibili.

Complessivamente, il volume propone un itinerario vario e complesso che è ben lungi dall’interessare esclusivamente lo specialista - che ne potrà comunque apprezzare il rigore - ma che è tale da catturare l’attenzione anche del lettore generico, disposto a ripercorrere una storia che parla di avventure estetiche dipanatesi negli anni attorno a questo pezzo di lago per tanti versi privilegiato.

Antonio Marino

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