Tra islam e alta finanza:
"buoni" affari in nome di Dio

L'islamologa e filosofa comasca Carla Di Martino spiega perché l'Occidente guarda con interesse al sistema musulmano, contrario alla speculazione finanziaria e radicato nell'economia reale. Luci e ombre della "terza via" al credito nei tempi della crisi globale 

Carla Di Martino, comasca, 32 anni, vive e lavora a Parigi. Laureata in filosofia a Pisa, ex-Normalista, consegue in co-tutela due dottorati,in filosofia medievale e in scienze religiose sull’Islam. Collabora col Centre National pour le Recherche Scientifique in Francia e in Belgio, con l’Università di Lille, l’Ecole Pratique des Hautes Etudes e il Centre d’Etude Diplomatique et stratégiques di Parigi.

di Carla Di Martino

"La crisi del credito potrebbe favorire l'espansione dei prodotti finanziari compatibili con le leggi islamiche anche al di fuori dei mercati asiatici e dei Paesi del Golfo".
Così sosteneva in febbraio il governatore della banca centrale del Barhain. E in effetti, in questo momento di crisi il sistema islamico propone un modello alternativo, fondato sulla proibizione del tasso di interesse e di conseguenza di ogni forma di speculazione finanziaria. Grande vantaggio di questa "proposta alternativa": essere già efficace ed operativa.
Nel 1974 l'Oci (Organizzazione della Conferenza Islamica) crea la Banca Islamica per lo Sviluppo, atto di nascita, in pieno boom petrolifero, di un sistema finanziario impostosi nei paesi musulmani radicali (prima in Pakistan nel 79, sotto la dittatura militare di Zia; nel 1983 l'Iran e il Sudan) e assai diffuso nel mondo musulmano e in Europa: banche islamiche operano oggi in più di 75 paesi. Il mondo musulmano sembra lungi dall'essere incompatibile col nuovo ordine internazionale post-guerra fredda... Nella Sura Seconda, versetti 275-282, il Corano vieta espressamente l'usura (ribah).
Ribah (lett. Aumento) è ogni forma di interesse: ribah al-fadl o ribah al-bay se lo scambio di mercanzia è simultaneo, ribah al-nasiya o ribah al-jahiliya se l'interesse matura nel tempo. Il tempo, chiarisce il Corano, non deve portare profitto. Eco immediata in occidente: Tommaso d'Aquino (filosofo e teologo del XIII sec.) tuona contro l'usura: 'il tempo è un bene concesso da Dio: non bisogna tirare profitti dal suo scorrere'. Nel rispetto di questo principio etico di base, i banchieri islamici elaborano un abile meccanismo giuridico-finanziaro fondato sulla partecipazione egualitaria a rischi e profitti. Cinque nozioni chiave per penetrare la logica di questo meccanismo: 1. mudaraba: in un investimento, la banca che apporta il capitale sopporta le perdite, mentre il promotore perde solo il risultato dell'investimento. 2. musharaka (associazione): (la banca paga il 90% del mio bene, ex. la mia casa, o compra per me la totalità della mercanzia (murabaha) e poi me la rivende. 3. ijara: la banca compra i macchinari per realizzare il mio progetto e me li dà in usufrutto. 4. istisna: la banca sostiene le spese di realizzazione del mio progetto e mi fornisce poi i beni fabbricati a prezzo e termine definiti.
In tutti questi casi, al momento del rimborso e acquisizione del bene io pago un surplus che ufficialmente è il compenso per il servizio di mediazione fornito dalla banca, e che di fatto corrisponde al tasso di interesse di un prestito classico. 5. salam sukuk o assicurazione islamica: a garanzia di tutte le operazioni descritte, un contratto stabilisce in anticipo l'interesse/commissione/profitto. In questo sistema le banche prendono ottime commissioni, da cui l'entusiasmo di molte banche occidentali che hanno aperto sportelli islamici in Europa. Ma questo sistema funziona veramente meglio che la finanza classica "occidentale"?
Gli svantaggi non sono da poco, perche nella transizione il costo del capitale è accresciuto, il che frena fortemente il microcredito. Il Pakistan ha pagato cari 11 anni di finanza islamica sotto la dittatura militare di Zia! Del resto il sistema delle banche islamiche è stato a lungo marginale nei paesi musulmani stessi, che preferiscono adottare il sistema bancario occidentare o investire i loro fondi all'estero (soprattutto nell'immobiliare), e lo sviluppo minimo del mercato finanziario in numerosi paesi arabi è effetto non tanto di un blocco religioso, ma della difficile transizione verso la modernità nella forma di un libero mercato. Per ora, appena circa il 10% del flusso finanziario dei paesi musulmani è shari'a compliant (rispetta la legge islamica). Un dato da tener presente prima di prendere a nuovo esempio di economia forte i paesi del Golfo. In realtà, il sistema islamico non è un estraneo nela storia economica dell'occidente. Si pensi alla commenda medievale, vera e propria forma di mudaraba, e alla muhatra, tipo di contratto "brevettato" dai commercianti di tessuti arabi e diventato la regola nel commercio delle stoffe: io ti vendo un tessuto per esempio a 2200 euro, me le paghi in 1 anno, e appena hai finito di pagare, te le ricompro di colpo a 2000 euro netti.
Ecco fatto un interesse del 10% shari'a compliant (rispettoso della legge islamica)! Che ebbe larga fortuna in occidente, se perfino Pascal se ne lamenta nelle sue "Lettere Provinciali". Insomma, a fare gli usurai restano solo gli scaltri mercanti ebrei del Boccaccio...

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