Una magica giovinezza
in un piccolo borgo antico

Borgovico, le ville, i nobili e la ricca borghesia d'inizio Novecento. Gli straordinari ricordi di Carla Porta Musa, 106 anni, per i lettori de La Provincia

Voglio ricordare il Borgovico della basilica di San Giorgio coi due padiglioni (ora De Santis) di fianco a Villa Olmo, chiusi da un bellissimo cancello fatto costruire dicevano, in Inghilterra. I proprietari, marchesi Casati di Milano, rimanevano in Villa fino ai primi di novembre. La marchesa, che il popolo chiamava «la marchesa del vitin» (si faceva stringere il busto fino ad ottenere quarantotto centimetri di vita) era solita fare sino all’ultimo giorno il bagno nel lago, che allora non solo lambiva il giardino, ma vantava un’acqua trasparente. Sopra la Basilica del mille, una delle campane porta incisi i nomi di Enrico e Maria Musa, e la Via Crucis, eseguita in Valgardena, era stata donata da mia madre (terziaria francescana).

La prima villa era quella del conte Resta, fratello della marchesa Camilla Saporiti. Nella grande cucina dei nonni Musa una porticina dava su un torrentello che veniva dal monte Tre Croci, e passando sotto la strada finiva in una spiaggetta in riva al lago, che separava la Villa Resta dalla Villa Musa (da molti anni Panini) ed era la delizia di noi bambini. I portinai della villa Resta avevano un figlio, Egidio, che veniva a giocare con noi, ma voleva sempre fare San Francesco e celebrare la messa. Io, a cinque o sei anni, di conseguenza dovevo essere Santa Chiara. Si rivolgeva però a me chiamandomi signorina Carla e mi dava del lei. Egidio Nessi, molti anni dopo, incontrandolo nel nostro Duomo, al mio rispettoso «Buongiorno Monsignore», rispose «Buongiorno cara figliola». In seguito la Villa Resta fu presa in affitto da un calzolaio di Cirimido che, dicevano le malelingue, si era arricchito facendo le scarpe ai soldati dal ’15 al ’18 con le suole di cartone. Saibene aveva otto figli, pressapoco della nostra età, ma non erano mai venuti nel nostro giardino. Ci si parlava attraverso i due giardini confinanti. La loro mamma, un giorno vedendomi con un fazzoletto al collo, mi chiese che cosa avessi. «Mal di gola», le risposi. «Vuoi guarire subito? Metti una calza sporca intorno al collo».

Quando lo riferii a mia madre, essa non fece commenti, si limitò a dire: «Il dottor Fumagalli (lo chiamavamo «ul dutur di sciuri» nella cui villa i nonni Musa e i miei genitori con Anna, Mario ed io abitavamo in attesa di trasferirci in Borgovico), suggerisce di fare dei gargarismi con acqua tiepida e bicarbonato». Dopo la Villa Resta veniva la villa del cavaliere del lavoro Pompeo Musa di Milano (zio Dino, Nelo e Mirella Risi) in stile Liberty, opera del nipote architetto Cesare Mazzocchi. Nello stesso giardino, ma vicino alla strada, il nonno aveva acquistato la villa dei Marchesi Barbò, i quali andandosene, portarono via il cancello con in alto lo stemma del casato. Il nonno Pompeo però lo fece copiare e al posto dello stemma fece mettere una vistosa "M" che esiste tuttora. la villa del ’700 affrescata dentro e fuori andava restaurata; soprattutto andavano messi i caloriferi e mancavano i bagni. Io avevo poco più di un anno quando andai con i genitori e i miei due fratelli Anna e Mario in Borgovico 76 e vi rimasi fino a trentatrè.

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Adoravo la mia casa, la mia stanza da letto che guardava il lago, con balconcini in ferro battuto che sembravano di pizzo, il soffitto a cassettoni e una porta finestra che dava su un terrazzo enorme, coperto da un glicine secolare, ed era il luogo preferito da mia madre. Adoravo il mio giardino con alberi imponenti, le infinite rose che la mamma prediligeva, ma che non dovevano mai essere colte, la scaletta che portava al lago, i miei cani (sei) e la darsena che conteneva due barche. Il nonno in prime nozze aveva sposato Carolina Mazzocchi, sorella di Luigi (nonno dei Risi), sulla cui tomba fece mettere "ingegnere Garibaldino" perchè a sedici anni era scappato da casa per raggiungere Garibaldi.

Carolina morì giovane lasciando un bambino di tre anni, Enrico, mio padre. Il fratello Enrico lo seguì l’anno dopo ma morì a vent’anni: in seconde nozze Pompeo sposò la cognata Giacomina, dalla quale ebbe una figlia, Annetta, così gracile per cui i medici suggerirono di portarla a Como, città che a quei tempi era definibile salubre. Annetta morì a undici anni, di peritonite. Nella Villa Fumagalli siamo nati Anna, Mario ed io, battezzati nella meravigliosa chiesa di Sant’Agostino. In Borgovico andai quando avevo più di un anno, e dopo cinque anni nacque Silvio, il mio ultimo fratello. La nostra darsena confinava con quella dei marchesi Saporiti. I loro domestici in divisa settecentesca, calze bianche, scarpe nere con vistose fibbie, calzoncini bianchi e grembiule color pisello, nelle prime ore del pomeriggio conversavano con il nostro giardiniere, Riccardo. Il maggiordomo della marchesa veniva spesso a invitarmi a prendere il tè nella stupenda Villa «La Rotonda». La marchesa Camilla - così mi disse - aveva lo stesso numero di fili di perle (vere, non coltivate) della regina Margherita di Savoia. Una volta, sapendo che dovevo partire per Parigi, ospite dei Musa di Nuova York, mi pregò di acquistarle delle calze elastiche introvabili a Milano. La Villa Saporiti (ora Amministrazione provinciale) confinava con la Villa Crespi-Morbio (padroni del "Corriere della Sera").

Giannino (il marito di Carla Porta Musa, ndr) era il medico dei nipoti della signora Crespi, la quale ci invitava spesso a cena. Aveva sempre molte cose interessanti da raccontare e il suo intercalare era «dura minga, non dura». Al di là della strada nel giardino Crespi è stata costruita la scuola «Ugo Foscolo», una delle più prestigiose di Como. La villa seguente era dei Dubini Gavazzi di Milano. I due scaloni che portano al primo piano, sono opera dell’architetto Cesare Mazzocchi di Milano e sono monumento nazionale. Durante l’ultima guerra tutte le ville di Borgovico e dell’altra sponda, le ville Borletti, Wild, Artaria, Capranica del Grillo e Cademartori e altri furono il rifugio dei proprietari milanesi. Andavamo spesso Gianni ed io a pranzo dai Dubini, e come cibo prelibato la loro nuova preparava gli gnocchi di patate, conditi abbondantemente con burro e formaggio. La villa, dopo la guerra, fu acquistata dalla signora Lang, che l’ha recentemente venduta a una famiglia americana, da alcuni anni residente nella villa Musa (miei nipoti) di Viale Geno.

Dopo la Villa Dubini la villa confinante è quella - per fortuna ancora privata - della contessa Carla Sossnovsky Parravicini, nipote della contessa Thaon di Revel, la quale ogni volta che accennava alla possibilità di una strada panoramica davanti alle ville, andava a Roma, non so a quale ministero, a difendere energicamente «la loro libertà». Infatti fino a quando lei è vissuta la strada non è mai stata fatta. Nella bellissima villa della Contessa Carla qualche volta si fanno degli incontri ad alto livello. In questa villa si vive un’atmosfera d’altri tempi, dei non mai dimenticati e "rimpianti" tempi della mia magica infanzia e giovinezza.

Carla Porta Musa

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