Coronavirus, i frontalieri
Gli infermieri domiciliari:
«In Ticino esposti al contagio»

La denuncia di un gruppo di operatori che segnalano, per la quarantena, un protocollo differente in Svizzera rispetto all’Italia

Questione di quarantena, vocabolo che per cause di forza maggiore è ormai entrato di prepotenza nel lessico giornaliero degli italiani.

Al di qua del confine la quarantena si attesta a quota 14 giorni, mentre in Svizzera - in base alle norme diramate dall’Ufficio federale - le norme prevedono solamente un periodo di cinque giorni. Una situazione grave che un gruppo di infermieri frontalieri a domicilio - davvero preoccupati per questa grave situazione - ha portato all’attenzione del quotidiano “La Provincia”. Vi è poi un altro fattore a rendere ancor più delicata la vicenda.

Con i sintomi si è allontanati

All’interno delle direttive emanate dal medico cantonale, Giorgio Merlani, si legge che «gli operatori sanitari esposti a casi confermati di Covid-19 e che erano senza protezione adeguata possono continuare a lavorare - utilizzando sempre una mascherina - a meno di apparizione di sintomi. In quel caso sono allontanati dal lavoro». Il tema - è bene rimarcarlo - riguarda i servizi di assistenza e cura a domicilio legati all’emergenza Covid-19. Giorgio Merlani scrive anche - per correttezza d’informazione - che «se il collaboratore avesse avuto un contatto con pazienti o ospiti, viene raccomandato che venga valutato e sottoposto a striscio Covid-19 (tampone, ndr)».

Informati i sindacati svizzeri

Gli infermieri al nostro giornale fanno presente che l’Ufficio del medico cantonale è stato contattato in quanto «è stato registrato un caso positivo e numerosi operatori sono stati esposti (al contagio, ndr)». «L’indicazione fornita - si legge nella nota inviata al nostro giornale - è stata quella di recarci ugualmente al lavoro il giorno seguente, senza informarsi sulle modalità d’esposizione». Della vicenda sono stati informati anche i sindacati svizzeri e, per ciascuno, il proprio medico curante. Differente la quarantena proposta per gli infermieri italiani e quelli svizzeri, che - si legge - «non l’hanno rispettata».

A questo punto, si innesca un altro meccanismo, peraltro di cui si è già parlato in questi giorni sempre in relazione al tema del frontalierato e cioè quello del cosiddetto “contagio di ritorno”. Ne ha parlato, ad esempio, il sindaco di Porlezza Sergio Erculiani nella missiva inviata al prefetto Ignazio Coccia, chiedendo un intervento istituzionale per arginare il flusso dei frontalieri diretti in Ticino in piena emergenza sanitaria.

Al lavoro comunque

«Noi abbiamo provveduto ad autoisolarci - si legge ancora nella nota, molto dettagliata -. Con queste direttive, anche in caso di contatto con una persona infetta bisogna continuare a lavorare. Di conseguenza è molto probabile che molti colleghi italiani stiano seguendo il protocollo svizzero, lavorando anche dopo “l’esposizione” (con pazienti positivi, ndr) e tornando al proprio domicilio la sera. In questo modo diventano loro stessi un veicolo importante di contagio».

Il tema è estremamente d’attualità, come si può intuire, e in questo caso più che mai urge - da parte della politica - un’omologazione delle regole “d’ingaggio”. Non solamente a quelle relative al periodo di quarantena, ma anche ai protocolli da seguire lungo la linea di confine.n M. Pal.

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