Famiglia ebrea perseguitata
La fuga da villa Clooney

Giornata della Memoria, il diario di Emilio Vitali. Sul web la prima puntata, su Diogene oggi in edicola la seconda puntata

«Lascio l’Oleandra. Lascio la mia casa che è la casa dei miei vecchi dove ho trascorso ogni anno tanti mesi da quando son nato. In questa casa ho visto vivere mio padre, ho visto vivere tante persone care ora scomparse. In questa casa ho visto le mie bimbe fare i primi passi... Quando vi tornerò? Cosa ritroverò? È il passato, con tutti i suoi ricordi, che si cancella!».

Prima di Clooney, dei suoi ospiti vip, dei riflettori e delle telecamere, della fama hollywoodiana, Villa Oleandra è il teatro della fuga di Emilio Vitali e della sua famiglia. È il 16 settembre 1943. I Vitali sono di Milano, ma da un paio di generazioni sono i proprietari della villa affacciata sul lago, a Laglio, dove corrono ogni volta che riescono. Le loro origini sono ebraiche. E nel Nord Italia è scattata la caccia dei nazisti agli ebrei, per deportarli nei campi di concentramento.

Su pagine ingiallite dal tempo, tratti in corsivo vergati con una penna blu tradiscono le emozioni di chi scrive. Quelle pagine fanno parte del diario che Emilio Vitali ha scritto, per non dimenticare mai l’orrore del fascismo e del nazismo. Una testimonianza che racconta la storia di una famiglia felice, scampata ai campi di concentramento ma costretta all’esilio in Svizzera, dove gli italiani non erano propriamente amati.

Il diario inizia il suo racconto dal 16 settembre 1943.

L’allarme

«Torniamo stanchi da Milano. Franca (la figlia, ndr) aveva dato la mattina l’esame di ammissione alla III liceo al Manzoni. Tutto era andato bene e noi godevamo al pensiero che Franca, dopo tanto studio e tanta fatica potesse riposarsi. Per quanto gli eventi incalzassero, per quanto ci fosse tanta minaccia nell’aria, pure facevamo ancora dei progetti: gite in bicicletta, andare a trovare degli amici, riunire per Franca dei suoi amici nella nostra Oleandra per festeggiare il suo meritato riposo».

Ma il ritorno a Laglio della famiglia Vitali riserva notizie terribile. Ad attenderli un loro conoscente: «Questa brava persona era venuta espressamente da Stresa per avvertirci degli arresti e degli eccidi avvenuti sul lago Maggiore. Le notizie erano tragiche e terrorizzanti! Conoscenti, amici, persone degnissime arrestate, fucilate solo perché di razza ebraica! Da anni ormai il mondo risuona della eco delle malvagità volute da Hitler e Mussolini». E nonostante l’informazione, Emilio Vitali non crede che la fuga sia così imminente.

«Anna e Salvatore (Anna Signori e Salvatore Galetti, 9 anni fa i loro nomi sono stati inseriti nel “Giardino dei Giusti”, ndr), persone che nella mia vita resteranno come il simbolo della devozione e della fedeltà, preparano la nostra fuga. Loro parlano con i contrabbandieri, loro combinano il prezzo, loro vengono di notte da noi per prendere gli accordi (...) Anna mi avverte che l’indomani non vi sarebbe più stata tranquillità di passaggio per entrare in Svizzera (...) Dovevamo partire la notte stessa per un valico assolutamente sicuro. Nella (la moglie ndr) ritorna alla una e nel pomeriggio facciamo i preparativi, per quanto affrettati (...) Si fa un baule d’argenteria che il bravo Salvatore deve sotterrare nel suo orto (...). Arriva Anna e ci dice che la via da lei organizzata è buona, è sicura, è libera e che con noi molti ragazzi del paese verranno perché militari e desiderosi di fuggire alle imposizioni germaniche non volevano assoggettarsi di combattere agli ordini dei tedeschi. Mancano i muli e mammà, che non può far la strada a piedi, vorrebbe stare a casa pensando che la sua età sarebbe stata in ogni modo rispettata. Fortunatamente le mie insistenze hanno prevalso».

Alle 21 del 17 settembre, i Vitali abbandonano l’Oleandra: «È il passato con tutti i suoi ricordi che si cancella». Fuori le strade sono avvolte nel buio. «Con le lampadine tascabili in mano, usciamo guardinghi per non farci vedere, perché per ora nessuno sappia della nostra fuga, come fossimo ladri o delinquenti... un nodo mi stringe la gola... è più forte di me, scoppio in pianto lasciando la mia casa. Attraversiamo la strada e infiliamo la scala. Iniziamo tutti uniti la nostra “via crucis”. Il buio ci avvolge e ci inghiotte. Si sale!».

La fuga

«Si sale! È la via a me ben nota che porta al mio orto. Salgo. Nel gruppo di case di Soldino vedo molta gente riunita che si congeda dale famiglie. Sono i militari che partono con noi. Sono trenta bravi ragazzi» che non hanno alcuna intenzione di combattere accanto ai tedeschi. Pure loro sono in fuga verso la Svizzera. «Odo dei singhiozzi e un sommesso parlottare. “Sono i Vitali!”. Sento in quelle voci una corrente di simpatia e di commozione. Non distinguo le persone, ma sento che il loro viatico affettuoso ci accompagna (...) La luna è apparsa circondata da nuvolaglia che ora la copre interamente, ora la scopre. Laglio è già lontana. Vedo dall’alto ancora uno scorcio di tetto della mia casa ed il grande cipresso. Vedo il lago, i paesetti di fronte, poi una svolta del sentiero e ci inoltriamo nella montagna. Si cammina in silenzio, poi Mamma stanca si butta a terra. Ci vuole un po’ a convincela che “dobbiamo proseguire”. Marina (la figlia più piccola ndr) per fortuna non è conscia di quello che stiamo facendo, è di buon umore e chiacchierina. Dopo aver camminato e salito per circa un’ora e mezza si fa portare in spalla da Andrea, fratello di Teresa e con lui fa molta amicizia. Ora è Franca (la figlia maggiore ndr) che non ne può più».

La Svizzera è ancora lontana. La comitiva raggiunge il Roccolo, quindi i Murelli, «dove abitano le guardie di Finanza». Si sale fino a 1300 metri di quota: «Quante volte ci sarà stato detto “ancora mezz’ora, ancora dieci minuti” (...) Silenzio e oscurità. La vita comoda è dietro di noi. Entriamo nel Roccolo, in una stamberga dove arde un camino e dove l’aria è appestata da tante pipe, da tanti fiati. Quanta gente è lì raccolta! (...) Dobbiamo accontentarci di rannicchiarci nella camera da letto della Carlotta che dorme colla sua bimba accanto. Io e Mamma ci gettiamo di sbieco sul letto di questa brava donna mentre Marina e Loletta (Cohen, ndr) si aggiustano in un altro lettino. Io sono affranto! (...) Dimentico tutto. Non sono che un corpo sfinito e dopo pochi momenti sono addormentato».

L’aiuto dei finanzieri

Il mattino dopo diluvia. «Una buona ciotola di latte con pane sfornato in casa e una larga fetta di polenta sono il nostro primo pasto (...) che ricorderò con rimpianto nel lungo digiuno del nostro primo periodo di internamento». La comitiva riparte. La mamma di Vitali, Margherita, viene portata a dorso di mulo. «Dopo una ventina di minuti arriviamo dalla Guardia di Finanza. Avevo già conosciuto nella mattinata il loro capo, venuto ad accordarsi con la Carlotta circa il nostro passaggio. Questo simpatico e bravo ragazzo, contrariamente agli usi esosi di tanti che hanno speculato sulla nostra disgrazia, alle mie insistenze per pattuire il prezzo per il nostro passaggio mi risponde: “Oggi è lei che ha bisogno di me, domani forse posso essere io ad aver bisogno di lei”. Gli stringo la mano, commosso, assicurandolo che nella vita non dimenticherò mai questa sua parola buona».

«Raggiungiamo i cancelli di frontiera. Il paese dove dobbiamo costituirci è Bruzella: “A quaranta minuti di giù”». Vitali e la moglie Nella vanno per primi: «Vediamo molti soldati che tornano sfiduciati: la Svizzera non accetta più che gli ebrei perché perseguitati. Dove andranno questi poveri figlioli? Saliamo su un carretto che ci conduce al posto di polizia. Si pattuisce il prezzo poiché il carrettiere Ettore Bozzi dovrà rifare il percorso per prendere le mie donne rimaste ancora in Italia. Mille lire per le due corse... Bazzecole! Cosa contano? La pelle è salva!».

Paolo Moretti
Gisella Roncoroni

© RIPRODUZIONE RISERVATA