La tragedia e il papà dell’arrestato
«Ha cercato di salvare quell’uomo»

Milo Canton è arrivato dal Friuli: «Maicol ha sbagliato tutto quella maledetta sera a Gravedona, ma non è un drogato o un alcolista. A Dervio e a Gera ha soccorso persone in difficoltà nel lago»

«Gli avevo lasciato la mia auto in caso di necessità. La guidava la sua ragazza o qualche amico, ma quel sabato lei era al lavoro e mio figlio non ha resistito a trascorrere una serata con gli amici in pizzeria a Gravedona».

A rievocare i risvolti della tragedia accaduta la notte di sabato 22 gennaio a Consiglio di Rumo, costato la vita a Giorgio Civetta, è Milo Canton, padre del giovane che ha investito e scaraventato nel torrente il povero lavapiatti del ristorante Al Ponte.

«Ha sbagliato, altroché se ha sbagliato – prosegue il papà – A guidare con la patente sospesa, a bere qualche birra di troppo prima di mettersi al volante e a fumare marijuana. Ma non è un drogato, né un alcolista o un assassino. È un ragazzo come tanti, con i suoi pregi e i suoi difetti».

Quel sabato notte, subito dopo la curva all’altezza del ristorante Al Ponte, un uomo ci ha rimesso la vita e il responsabile si trova in carcere in attesa della conclusione delle indagini. Poi ci sono i parenti della vittima, ancora attoniti, e ci sono anche due genitori che, come succederebbe a qualunque padre o madre, stanno vivendo un loro dramma.

Milo Canton e sua moglie sono a Gera Lario da oltre una settimana, in un bungalow, e per loro le giornate non trascorrono mai. Sono riusciti a mettersi in contatto col figlio solo in videochiamata e prima di rientrare a Porcia, Comune a ridosso di Pordenone, vorrebbero poterlo incontrare fisicamente. L’opinione pubblica è rimasta scossa dalla tragica fine dell’onesto lavapiatti di Musso, persona semplice e tanto buona, e l’automobilista venticinquenne che l’ha investito è stato definito i tutti i modi: assassino, pirata della strada, ubriaco.

«È morto un uomo, un onesto lavoratore che stava terminando la sua giornata in un ristorante, e immagino lo stato d’animo dei parenti – dice ancora Milo Canton – È giusto che mio figlio paghi, però lo stanno dipingendo come non è in realtà. Io l’ho sempre visto darsi da fare per gli altri. È diplomato geometra, ma ama troppo l’aria aperta e ha fatto a lungo volontariato con il gruppo Kayak di Cordenons, che avvicina ragazzi disabili alla pratica della canoa. A Dervio, l’estate scorsa, si è tuffato per aiutare una ragazza in difficoltà al largo e qui a Gera mi hanno riferito che in una giornata fredda non ha esitato ad entrare in acqua vestito in aiuto di un surfista in difficoltà».

Dopo l’incidente, quella tragica notte, il giovane cercò di scendere nel torrente in aiuto della vittima, rischiando egli stesso la vita: «Maicol ci ha raccontato di non essersi accorto subito di quell’uomo perché stava dietro il cassonetto – riferisce il padre – ma quando l’ha visto nel torrente ha cercato di soccorrerlo, sperando istintivamente che fosse ancora in vita

« Dal carcere è stato portato nei giorni scorsi in ospedale per un intervento alla mandibola, malconcia dopo aver rischiato lui stesso la vita, quella sera, per scendere nel torrente».

Milo Canton e la moglie sono operai: persone normali che hanno cercato di trasmettere al loro unico figlio valori sani: «Ha sempre amato lo sport e ha ottenuto i brevetti di istruttore di kitesurf e maestro di sci. Da quattro viene qui a Gera e quest’anno, con la pandemia che gli ha impedito di andare in Svizzera sulle piste da sci, si è trattenuto qui, anche perché nel frattempo ha conosciuto una ragazza, una brava ragazza dell’Alto Lario, che a Natale ci aveva presentato a Pordenone. Eravamo contenti per lui e sereni noi. Ma la notte fra sabato 22 e domenica 23 gennaio ci è crollato il mondo addosso».

(Gianpiero Riva)

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