Morti in corsia, la difesa:
«Cazzaniga non ha ucciso»

Il processo per le morti all’ospedale di Saronno. Il legale in aula: «L’angelo della morte evocato non è lo sterminatore, ma quello che accompagna in Paradiso»

Battute finali per il processo “Angeli e Demoni” contro Leonardo Cazzaniga, di Rovellasca, l’ex vice primario del pronto soccorso dell’ospedale di Saronno accusato di 15 morti volontarie di cui 12 in corsia e tre in ambito familiare: ieri ha riferito in aula l’avvocato Andrea Pezzangora del Foro di Brescia che lo difende insieme al collega Ennio Buffoli.

«La prima domanda che mi sono posto era stata perché scrivere quei dosaggi - ha esordito Pezzangora - perché usare quelle modalità di somministrazione poco performanti se volevo uccidere un paziente? La certezza è che Leonardo Cazzaniga non ha mai voluto uccidere nessuno. Ambiva a fare il medico, a curare le persone nella loro integrità. Il suo atteggiamento creava invidia positiva nei colleghi. Era il leader indiscusso del pronto soccorso. Aveva mania di grandezza, era vittima del suo narcisismo, ma l’unica cosa che doveva contare era quella di essere un bravo medico».

Il significato

Pezzangora ha spiegato anche il significato Dell’Angelo della Morte: «La figura evocata da Cazzaniga non è l’angelo sterminatore, ma è l’angelo che aiuta, che accompagna in Paradiso. Questo è Cazzaniga, questo è il significato da dare all’Angelo della Morte».

«Nessun medico era a conoscenza del protocollo Cazzaniga - ha aggiunto il legale - Il protocollo è un pettegolezzo alimentato dagli infermieri che qualche sassolino nella scarpa contro Cazzaniga ce l’avevano. Le somministrazioni avvenivano per alleviare le sofferenze dei pazienti accompagnandoli serenamente alla morte naturale. Cazzaniga trova una lacuna nelle linee guida da seguire, si confronta con questa lacuna e cerca di risolverla. Non esiste un cliché, l’approccio è calibrato caso per caso a seconda del malato».

«Erano tutti pazienti meritevoli di essere presi in cura da tempo dal sistema palliativo - ha continuato Pezzangora - . Nel pronto soccorso c’è una lacuna che andava riempita con un approccio etico, empatico che sta alla base delle cure palliative. La mancata presa in carico di questi pazienti da parte della rete delle cure palliative faceva sì che confluissero su Saronno nel pronto soccorso. Malati per cui era impraticabile un ricovero».

«È un processo alle streghe. Alla base di questo concetto è stata disegnata l’immagine del dottor Morte. Cazzaniga non ha mai voluto uccidere nessuno, né accelerare la morte di nessuno».

Nessun nesso

Poi sul nesso di causalità ha sostenuto che: «Nel momento in cui si dice che la morte è stata causata o accelerata - ha sottolineato il legale - qual è la legge scientifica che mi permette di misurare il grado di sopravvivenza dei pazienti? Non esiste un parametro. Non posso dire che quel dosaggio sia sempre e comunque letale, ma devo verificare se nel caso specifico quella dose, anche in astratto, la dose sia letale. Non ci bastano ipotesi, sospetti e ipotesi: servono certezze rispetto al nesso di causa tra somministrazione e decesso e se non c’è una legge di copertura scientifica è impossibile».

Alla fine la difesa ha chiesto l’assoluzione: «Quando il processo di morte inizia è irreversibile. Non si può più tornare indietro. I pazienti avevano un processo di morte già in atto. Cosa che risulta da un dato fattuale: arrivano trasportati in ambulanza, ma non è stato richiesto l’intervento in supporto anche dell’automedica perché si è pensato non fosse necessario considerando le condizioni terminali dei pazienti. Il percorso di morte era iniziato già prima che entrassero in pronto soccorso. I pazienti erano meritevoli di una sedazione palliativa. Non c’è causalità tra somministrazione dei farmaci e decesso e quindi il fatto non sussiste».

© RIPRODUZIONE RISERVATA