Omicidio al bar, il boss in aula
«Ho cercato di salvargli la vita»

Il capo della ’ndrangheta a Cermenate testimone in Tribunale. Tra silenzi e non ricordo sfilano i clienti che hanno assistito all’agguato a Bulgorello di Cadorago

«Quella cosa non bisognava farla in quel bar lì, perché era un bar pulito e ci andavano tutti bravi ragazzi». Il “bar lì” è l’Arcobaleno di Bulgorello di Cadorago dove, l’8 agosto di undici anni fa, un killer ha fatto irruzione e sparato quattro colpi contro Franco Mancuso, uccidendolo.

Il processo in corso a Como per quell’esecuzione in puro stile mafioso (gli imputati sono Bartolomeo Iaconis, un passato da boss della ’ndrangheta condannato, e Luciano Rullo, presunto esecutore materiale) ieri ha visto presentarsi in aula, in qualità di testimone, Giuseppe “Pino” Puglisi, condannato per essere il capo della locale di ’ndrangheta di Cermenate. Ed è lui, davanti alla corte d’Assise, a parlare del “bar lì” frequentato dai “bravi ragazzi”.

«Ho sentito tre o quattro colpi ma pensavo fossero i petardi esplosi da qualche ragazzino - ha detto in aula - L’uomo che ha sparato? Non l’ho visto». Puglisi non si è neppure girato per vedere da dove arrivassero gli spari. «Io per dieci anni ho fatto volontariato in Croce Rossa - ha spiegato - Quindi sono andato a vedere in che condizioni era l’uomo ferito. Nel frattempo la Gisella (Annoni, sorella del titolare del bar ndr) mi ha passato il telefono e ho parlato con il 118. Quando è arrivata l’ambulanza ho chiesto se avevano bisogno, mi hanno detto di no e me ne sono andato».

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