Processo alla ’ndrangheta. La difesa del boss: «Via il giudice»

Criminalità In Tribunale la prima udienza contro la locale di Fino Mornasco. La legale di Iaconis: «La presidente ha già giudicato il mio cliente, si astenga»

«La presidente della corte ha già giudicato il padre del mio cliente, per vicende richiamate dall’accusa di questo processo. Va ricusata, perché incompatibile». Le difese partono subito all’attacco. E non è solo uno stucchevole gioco di parole. Perché il terzo processo contro la ’ndrangheta in appena tre anni che si celebra in Tribunale a Como, rischia di ricevere un brusco stop. A giocare la carta della ricusazione della presidente Valeria Costi - carta, va detto, assolutamente procedurale e che nulla ha a che fare con questioni personali e men che meno di contestazione professionale della toga comasca - Angelica Ottinà, avvocato di Giuseppe Iaconis, figlio di Bartolomeo Iaconis, condannato all’ergastolo per omicidio con l’aggravante dell’associazione mafiosa proprio da un collegio di giudici presieduto dalla dottoressa Costi.

In buona sostanza la questione è la seguente: nell’indagine “cavalli di razza”, di cui ieri si è aperto il processo in Tribunale per 11 imputati (altri 34 sono alla sbarra in udienza preliminare a Milano e altri indagati sono in attesa di un eventuale rinvio a giudizio) compare anche lo stesso Bartolomeo Iaconis - considerato boss della locale di Fino Mornasco della ’ndrangeta - peraltro citato per reati associativi già richiamati nel processo in corte d’Assise terminato con il carcere a vita. Da qui l’istanza di ricusazione, che dovrà essere valutata ora dalla corte d’Appello. Nell’attesa, il processo continua.

Come detto sono undici gli imputati alla sbarra. Oltre al già citato figlio di Iaconis, il braccio destro dello stesso “Bartolo”, Alessandro Tagliente, diversi esponenti della famiglia Ficarra (Massimiliano, Antonio, Rocco Marcello, Daniele), Antonio Carlino, Claudio Tonietti, Andrea Stillitano, Leo Palamara e Giuseppe Valenzisi. Di questi Iaconis di Appiano Gentile, Massimiliano Ficarra di Lomazzo, Palamara di Appiano, Stillitano di Mozzate, Tagliente di Appiano, e Tonietti sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Inoltre: i Ficarra sono accusati di diverse bancarotte nel mondo delle false cooperative, Giuseppe Iaconis di lesioni personali aggravate dal metodo mafioso, detenzione e porto illegale di arma, Tagliente di usura, detenzione e porto d’arma da fuoco, plurime accuse di frode fiscale e di bancarotta fraudolenta, trasferimento fraudolento di titoli, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, Tonietti di spaccio, Valenzisi di trasferimento fraudolento di titoli con l’aggravante di aver favorito la ’ndrangheta.

La vicenda, com’è noto, riguarda il blitz compiuto dalla Guardia di finanza di Como e dalla squadra mobile di Milano contro una sessantina di persone accusate di essere legate a doppio filo ai clan calabresi. Indagine quantomai articolata, che riguarda anche le minacce e le estorsioni ai danni della Spumador - da alcuni giorni in amministrazione giudiziaria - i cui fatti però vengono giudicati in udienza preliminare con rito abbreviato a Milano.

A sostenere l’accusa i pubblici ministeri Sara Ombra e Pasquale Addesso, entrambi presenti ieri a Como. Così come presenti in aula anche tre parti lese - secondo l’accusa - dagli imputati: un poliziotto della squadra mobile di Milano, aggredito durante un servizio di appostamento (l’agente non si è però costituito parte civile), un piccolo imprenditore minacciato e vittima d’usura e pure Cesare Pravisano, inizialmente preso di mira e utilizzato come una sorta di bancomat dagli affiliati ai clan, quindi passato da vittima a carnefice (secondo l’accusa) al punto di essere finito pure lui in mezzo a numerose operazioni contro la criminalità. Previsano, ex funzionari di banca, in passato è stato anche assessore a Lomazzo.

Almeno un centinaio i testimoni chiamati a deporre nel corso del processo: si comincia tra due settimane con i militari della Guardia di finanza che hanno indagato nell’operazione. Ieri tutti gli imputati erano presenti in videoconferenza, collegati dalle carceri di tutta Italia: da Palermo a Opera, dalla Sardegna alle Marche. Unico a piede libero Giuseppe Valenzisi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA