Cabiate, la tragedia di Sharon
L’accusa è omicidio volontario

Svolta nelle indagini sulla morte della bimba di 18 mesi: ora l’ex compagno della madre rischia l’ergastolo. Il medico legale ha depositato la relazione: i traumi alla testa non sono stati accidentali. Confermati gli abusi

Altro che stufetta caduta accidentalmente. La piccola Sharon sarebbe stata colpita deliberatamente, più volte e con violenza, alla testa e ha riportato traumi che il medico legale è sicuro siano del tutto incompatibili con un evento accidentale. E così adesso per Gabriel Robert Marincat, il compagno della madre finito in cella lo scorso gennaio, cambiano le accuse ipotizzate dalla Procura. E per lui si fa concreta la possibilità di dover rispondere di reati da ergastolo.

Il pubblico ministero Antonia Pavan ha formalmente contestato al giovane rumeno l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale ai danni di una bambina. Un aggravante che rende impossibile chiedere il rito abbreviato e che, di conseguenza, si tradurrebbe in un’inevitabile condanna al carcere a vita.

Le accuse

Ovviamente è quanto mai prematuro per vaticinare una sentenza di ergastolo, certo è che la posizione di Marincat si aggrava e non di poco. Inizialmente arrestato con l’accusa di morte come conseguenza di maltrattamenti in famiglia (un reato che prevede pene fino a 24 anni) e violenza sessuale aggravata, ora il giovane deve rispondere di omicidio volontario. Un omicidio nato - è l’ipotesi che si fa largo tra gli inquirenti - come epilogo di una giornata di violenze gravissime ai danni della piccola Sharon Barni, 18 mesi soltanto, che la mamma Silvia aveva affidato alle cure del suo convivente.

La tragedia risale all’11 gennaio scorso. Marincat è nella casa di via Dante, a Cabiate, da solo. Con lui la figlia della sua compagna. La versione di quella maledetta giornata raccontata dal giovane, ora sotto accusa di omicidio, recita più o meno così: attorno alle 15.30/15.45 Sharon, giocando, tirava per sbaglio il cavo elettrico di una stufetta che si trovava sopra una scarpiera. L’elettrodomestico cadendo la colpisce alla testa. Lei piange per un po, ma poi si rimette a giocare. Un’ora più tardi si addormenta.

Soltanto poco prima delle 19 viene chiamato il 118: l’équipe dell’elisoccorso cerca di salvare la bimba, ma invano. Arriverà all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo già morta.

La ricostruzione dell’accusa - sulla base dell’indagine svolta dai carabinieri di Mariano Comense e della compagnia di Cantù e sulla ricostruzione del medico legale - è completamente diversa. La bimba, quel giorno, avrebbe subito abusi sessuali. Quindi sarebbe stata strattonata, maltrattata, poi colpiti più volte alla testa.

La ricostruzione di Marincat sembra però fare acqua da tutte le parti: dirà di aver informato subito la mamma di Sharon di quello che definisce un “incidente”. Ma il primo contatto tra i due sono alcune foto inviate via whatsapp alle 16.30 (quasi un’ora dopo il fatto) e alle 16.49. E la prima telefonata risale alle 16.55. Chiamata preceduta, sei minuti prima, da un audio quantomeno confuso inviato dal ragazzo alla convivente. Della stufetta nessuna menzione.

Le lesioni alla testa

Ma a smentire la ricostruzione data dal giovane, è soprattutto il medico legale. Che dirà come i traumi alla testa subiti dalla piccola siano stati di fatto fatali. E che, soprattutto, quella versione di lui «ha pianto, l’ho tranquillizzata e lei è tornata a giocare» è totalmente incompatibile con la lesione subita alla testa. Con quella botta, chiosa il medico legale, non è credibile che una bimba di diciotto mesi passi dal pianto al gioco come nulla fosse successo.

E poi c’è tutto il capitolo che ha innescato la terribile accusa di violenza sessuale aggravata.

Ora la parola passa inevitabilmente alla difesa. L’obiettivo? Tentare di smontare un capo d’accusa che, ad oggi, suona molto come una sentenza: ergastolo.

Paolo Moretti

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