Cadorago: doppio ergastolo
per l’omicidio al bar

Bartolomeo Jaconis (61 anni) e Luciano Rullo (52) condannati per la morte di Franco Mancuso a Bulgorello. La Corte d’assise li ha ritenuti colpevoli di essere rispettivamente il mandante e l’esecutore materiale del delitto

Si è concluso con una doppia condanna all’ergastolo il processo per la morte di Franco Mancuso, ucciso l’8 agosto del 2008 nel giardinetto del bar Arcobaleno a Bulgorello di Cadorago. La corte d’Assise di Como - presieduta dal giudice Valeria Costi - ha ritenuto i due imputati Bartolomeo Iaconis, 61 anni originario di Giffone ma residente a Fino Mornasco, e Luciano Rullo, 52, lui pure di Fino, colpevoli il primo di essere il mandante, il secondo l’esecutore materiale del delitto.

Il verdetto è “fine pena mai”, con un risarcimento a titolo di provvisionale da 400mila euro, che gli imputati dovranno versare alla vedova e ai tre figli di Mancuso.

Un bel successo per i magistrati della Dia di Milano che si sono visti riconoscere senza titubanze l’impianto di un’accusa che, lo ricordiamo, prese le mosse dalle dichiarazioni del pentito Luciano Nocera. «La morte di Mancuso - aveva ribadito in aula a fine giugno il pm Cecilia Vassena, invocando carcere a vita per tutti -, quella morte servì a riaffermare il dominio e il prestigio della ’ndrangheta sul territorio».

La credibilità del pentito

Così gli avvocati difensori, a partire da Maurizio Gandolfi, che assiste Iaconis: «Diciamo - ha commentato - che si tratta di una sentenza “coraggiosa”, poiché ci vuole del coraggio a condannare un uomo all’ergastolo in presenza di “palate” di ragionevoli dubbi». Jacopo Cappetta, avvocato di Rullo: «C’erano dubbi ragionevoli, circostanziati... Credevamo di avere fornito una lettura del perché non bisognasse credere a Nocera», il pentito che in corso di udienza lo stesso Rullo definì «fantomatico bugiardo».

La sensazione, al di là delle dichiarazioni di prammatica sulla necessità di leggere prima le motivazioni del tribunale, è quella che seguirà un processo bis, in appello.

Mancuso, lo ricordiamo, morì per essersi permesso di muovere in pubblico un’offesa a Iaconis, per avere osato - prendendogli l’auto a mazzate - quel che non si sarebbe potuto osare e quel che nessun boss “come si deve” avrebbe potuto accettare passivamente. Decisivo, nella ricostruzione di quel che accadde, fu il ruolo di Nocera, che in carcere - lui pure con un ergastolo - ci finì quando un altro tribunale lo riconobbe colpevole dell’omicidio di Ernesto Albanese, “piccolo” spacciatore trovato cadavere a Guanzate sotto tre metri di terra nel giardino di una casa abbandonata.

Il ruolo dei testimoni

Ieri, dopo la lettura della sentenza, il tribunale ha inviato in procura gli atti inerenti alcune delle testimonianze rese nel corso del processo, in primis quella di Massimiliano Annoni, titolare del bar in cui si consumò il delitto. Del resto questo soprattutto resterà agli annali delle cronache giudiziarie: la memoria di un processo cui un ruolo lo hanno giocato testimoni - per dirla ancora con il pubblico ministero Vassena - «sfacciatamente appartenenti allo stesso ambiente delinquenziale di Iaconis e di Rullo, testi vicini a quel contesto, e che preferiscono rischiare la falsa testimonianza mettendosi contro lo Stato pur di non mettersi contro Iaconis», così come altri testi “terrorizzati”, «quelli che muoiono di paura e che pagherebbero pur di non trovarsi seduti su quella sedia».
S. Fer.

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