Covid: nel 2020, centomila morti in più
dell’ultimo quinquennio

I dati Istat: oltre 4 milioni di positivi in Italia, quasi 750 mila vittime

Sono i dati impietosi dell’anno nero del Covid, con la pandemia che ha fatto schizzare il numero dei morti come mai era accaduto dal secondo Dopoguerra in poi. Il giorno più buio è quello del 28 marzo 2020 quando il bollettino fece segnare il picco dei decessi: 928. Lo stesso mese in cui il mondo partecipava al dolore dell’Italia davanti alle immagini dei camion dell’esercito con le bare di Bergamo.

l nuovo rapporto pubblicato da Istat e Istituto Superiore di Sanità, però, porta anche una luce di speranza legata ai vaccini che hanno letteralmente demolito il rischio di morte, con un crollo addirittura del 95% dopo poco meno di due mesi dalla prima dose. A confermare il trend arrivano anche i dati della Fondazione Gimbe, che evidenziano un crollo dei ricoveri (-84%) dal picco del 6 aprile.

Il sesto rapporto Istat-Iss sull’incidenza della pandemia in Italia registra nel 2020 un aumento del 9% della mortalità rispetto alla media del quinquennio 2015-2019. Le regioni con gli aumenti significativamente più rilevanti sono Piemonte, Valle D’Aosta, Lombardia e la Provincia autonoma di Trento.

Al contrario, le Regioni del Centro e del Mezzogiorno non mostrano variazioni rilevanti. Il Covid, secondo quanto rilevato dal dossier, ha un impatto maggiore tra gli uomini e aumenta la mortalità in particolare sulla fascia di età 65-79 anni, dove un decesso su 5 è attribuibile proprio al virus. Quasi la metà dei casi di positività da inizio pandemia (il 46%) è stata registrata nei primi quattro mesi del 2021, un quadrimestre dove però appare evidente il calo dei contagi tra gli ultraottantenni e un abbassamento dell’età dei casi segnalati. «Questo - si legge nel rapporto - è un segnale di come la campagna di vaccinazione, le raccomandazioni e la prevenzione messa in atto abbiano dato esiti postivi nel ridurre la trasmissione di malattia nella fascia anziana della popolazione, ma è anche una conseguenza dell’aumentata capacità diagnostica e delle attività di contact tracing che hanno facilitato l’identificazione di casi tra la popolazione più giovane, più frequentemente paucisintomatici o asintomatici».

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