Gente di corse, Merzario in lacrime
«Il nome di Abbate sulla mia tuta»

L’ex pilota di Formula 1 ricorda a La Provincia l’amico Tullio

Ci sono gli intervistati, quelli a cui chiedi un ricordo, vivo o commosso. Ma ci sono anche quelli che ti anticipano. Come Arturo Merzario, l’ex pilota della Ferrari e di Formula 1. Chiama lui, per sfogare il suo dolore. In lacrime. E Arturo non è uno da lacrime facili... Un duro. Un guascone, uno che recita la parte di quello che non prende mai la vita sul serio. Ma stavolta non è così: «Povero Tullio. Andarsene via così, senza nemmeno il conforto di un saluto... Chissà, magari non possono fargli nemmeno il funerale, e comunque senza la folla di amici e clienti che sarebbe arrivata a salutarlo. Questa cosa mi mette addosso una tristezza infinita. Non lo meritava. Perché era un genio».

Merzario uomo dei motori, non sappiamo quanto si intenda di barche, ma di geni sicuramente sì. Ne ha conosciuti tanti: «Tullietto - mi viene da chiamarlo così, come lo chiamavamo da giovani, prima che nascesse suo figlio (tira su col naso, ndr) - era un genio. Ha rivoluzionato la nautica. Un uomo come l’ingegner Valletta della Fiat, che diede un’auto a tutti gli italiani, con la prima catena di montaggio per fare la Topolino e l’idea dell’automobile per tutti. Oppure come Piaggio, che fece il primo scooter e mise sulla ruota anteriore una sospensione come quella degli aerei. Abbate era uno così: quando sostituì il legno con la vetroresina, cambiò il mondo della nautica». Si conobbero a Bellagio, in balera: «Andavamo a ballare al Lido, lui era il figlio del grande Guido, maestro d’ascia, io uno scapestrato che sognava di fare il pilota. Ci intendemmo subito, siamo diventati amici. Poi ho preso delle barche da lui, e ogni volta era una novità».

Ci sono episodi curiosi che hanno unito i due: «Ogni tanto veniva a vedere le mie corse, e ricordo che ai Gp di Italia del 1978 e del 1979, quelli che avevo corso con le vetture che portavano il mio nome, misi il nome Abbate sulla tuta e sulla macchina. Così, un gesto di amicizia, una sorpresa per lui che veniva ai box. E poi ci fu la questione dell’alettone».

Quale? «Avevo ancora in magazzino un alettone della mia Formula 1 e sapevo che lui stava facendo delle prove di aerodinamica sul suo Offshore Gancia. Allora mi venne l’idea di montare quell’alettone sulla barca. Era logico che non andasse bene, ma volevamo solo vedere il concetto di portanza aerodinamica applicato su una barca. Poi lui andò avanti a fare prove rimodellando quel concetto con parti aerodinamiche create apposta». C’è anche un ricordo tragico: «Quando morì suo nipote Guidino in un incidente, il figlio di suo fratello Bruno, eravamo assieme per le vacanze di Natale a Cervinia». Di Tullio, Arturo ricorda soprattutto la capacità di innovazione: «Ogni barca era avanti a quelle della concorrenza e chiedete pure a qualsiasi esperto o appassionato di motoscafi, e vi dirà che molti costruttori, poi, prendevano spunto da lui. Ricordo anche la gara che organizzò a Villa d’Este con i piloti di Formula 1, le sue grandi passioni. E poi era grande amico della famiglia Grimaldi».

Arturo chiude con una battuta, che fa in tempo a trovare rovistando nei suoi singhiozzi. «Chiedete a quelli della motonautica chi era Tullio Abbate e vi diranno così: “Bastava infilargli una matita nel sedere e lui avrebbe disegnato una barca da urlo...”».
Nicola Nenci

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