La Rsa Borletti riapre alle visite
E Alberto Cova rivede il papà

L’olimpionico di mezzofondo racconta l’incontro ad Arosio dopo quattro mesi: «Bellissimo trovarlo in salute ma ancora niente abbracci, restano le cautele»

«È stata una grandissima emozione». Alberto Cova di emozioni ne ha vissute di importanti (basti ricordare il successo alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 sui diecimila metri, il traguardo più alto per un atleta) eppure la prima visita, dopo la quarantena, al padre Pietro, ospite alla Fondazione Borletti di Arosio, ha lasciato il segno.

«Erano più di quattro mesi che io e mio fratello Moreno (un passato da calciatore, anche nel Mariano e nella Stella Azzurra dei primi anni duemila ndr) non potevamo incontrarci con papà -racconta Cova -.L’emergenza sanitaria ha impedito, giustamente, l’accesso alla struttura durante la fase di emergenza».

Una lontananza che faceva da cassa da risonanza delle preoccupazioni dei due figli per il padre di 96 anni, con il coronavirus sempre in agguato. «Per fortuna e grazie alla competenza dei medici e del personale della Fondazione, papà non è stato contagiato ed è sempre stato bene -dice il campione inverighese -.Ci sentivamo, con l’aiuto del personale, telefonicamente e abbiamo anche ricevuto delle foto, scattate sempre dal personale, che ci tranquillizzavano. Però avevamo una grande voglia di rivederlo di persona».

Quando la Rsa arosiana è stata dichiarata “covid free” sono riprese le visite dei parenti. Con numerose limitazioni e misure di sicurezza: «Abbiamo concordato una visita e quando ci è stata confermata, io e mio fratello eravamo emozionati e non vedevamo l’ora di poterlo andare a trovare».

Il grande momento è arrivato qualche giorno fa. «Finalmente ho potuto rivederlo dopo quattro mesi -spiega con la voce emozionata Alberto Cova -. Stava bene e questo era la cosa più importante. Ma purtroppo non ho potuto abbracciarlo e, lo confesso, mi è mancato molto il contatto fisico. Mi sarei accontentato di pochi secondi. Ma ci sono delle regole e vanno rispettate».

(Guido Anselli)

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