La spinta dell’incubatore: capitali per le startup

Innovazione Tutornow e FloFleet hanno avuto importanti finanziamenti «ComoNext decisivo per attrarre gli investitori»

Lomazzo

Tutornow ha chiuso a maggio un round di finanziamento da un milione di euro, l’operazione è stata guidata da Mario Peveraro, co-founder di One4, con il sostegno di Techstars, Invitalia (tramite il bando Smart&Start) e Kf-invest. Il mese successivo FloFleet ha chiuso un round da 800mila euro con Skylink, holding guidata da Luca Spada, fondatore e presidente di Eolo.

Si tratta in entrambi i casi di startup innovative insediate a ComoNext. Ottenere un finanziamento non è semplice, soprattutto in Italia, dove i capitali privati si muovono, quasi sempre, solo dopo quelli pubblici. Negli Stati Uniti, invece, funziona in modo diverso. Ne abbiamo parlato con Luca Dei Rossi co-founder Tutornow e Andrea Cecchi co-founder FloFleet.

Fattore chiave

Quanto ha inciso presentarsi come startup appartenente alla community di ComoNext? «È stato fondamentale, perché l’incubatore, prima ancora dei servizi che offre, ti dà validazione – afferma Luca Dei Rossi - Essere accettati in un programma di incubazione mostra ai potenziali investitori che non sei una startup nata al bar tra quattro amici destinata forse a perdersi, ma un progetto valutato da esperti e ritenuto meritevole, sia per il lavoro svolto sia per quello da svolgere. Anche nel trovare contatti e investitori è decisivo».

«Stare in un incubatore significa sapersi mettere in discussione – evidenzia Andrea Cecchi - I veri risultati arrivano dicendo sì a tutte le attività, non puoi mai sapere quale sarà quella decisiva. Nel nostro caso l’investitore lo abbiamo incontrato proprio grazie a un’attività proposta da ComoNext, una competizione di Confindustria Varese senza premi particolari, dove in giuria c’era Luca Spada che è partito anche lui da un garage e forse in qualche modo immagino si sia ritrovato in quello che facciamo. Senza quell’occasione, non ci saremmo mai incontrati. Non l’abbiamo fatto pensando “magari troviamo un investitore”, ma nell’ottica che, se non ci vai, un’opportunità la perdi. Tante volte abbiamo partecipato a eventi senza avere alcun riscontro, ma quella volta ha letteralmente cambiato il nostro corso».

Consigliereste a una startup di entrare a ComoNext? «Quindici minuti di chiacchierata con una persona più esperta possono evitarti molti errori - risponde Dei Rossi - È un acceleratore incredibile. Chiunque inizi a fare impresa ha più domande che risposte e avere qualcuno che ti orienta nella direzione giusta, significa risparmiare anche un anno di vita aziendale. Tutto il percorso è pensato per creare connessioni e capire come muoversi».

Grazie alla tipologia dell’investimento raccolto, Cecchi sottolinea la libertà di concentrarsi sullo sviluppo tecnico del prodotto, senza dover subito preoccuparsi di fatturato o vendite: «È proprio lì che spesso nasce il cortocircuito che mette in difficoltà le startup, sviluppare feature del prodotto solo per accontentare un cliente, perché il fondo chiede semplicemente fatture emesse. Solo alcuni investitori, più di larghe vedute, riescono a guardare l’intero schema. Ovviamente un fondo di investimento lo fa perché a sua volta ha investitori che chiedono risultati. In tre-cinque anni spesso non si riescono a raggiungere i risultati richiesti, soprattutto all’inizio».

Gli strumenti

Il modo di investire in Italia è diverso rispetto ad altri Paesi: «Negli Stati Uniti basta una presentazione, se i numeri tornano e il business interessa, gli investitori accettano il rischio – aggiunge Dei Rossi – Da noi invece conta molto di più il networking, conoscersi e creare relazioni. E’ più difficile che qualcuno si prenda davvero il rischio di investire. Anche i fondi di venture capital spesso inseriscono nei term sheet condizioni che tagliano un po’ le gambe all’azienda, limitandone l’autonomia proprio mentre sta crescendo. Innovare significa fare esperimenti, e qualche volta anche impiegare risorse che non producono risultati, fa parte del gioco. I fondi arrivano solo se il team è coeso, competente, complementare e affidabile. Serve molto più che un business plan: networking, fiducia e dimostrare visione a lungo termine».

«In Italia alle startup early stage viene richiesto un business plan a cinque anni con stato patrimoniale e conto economico dettagliati – conclude Cecchi - Ma chi investe chiedendo questo tipo di cose dimostra di non aver capito davvero in cosa sta investendo, aspettandosi un ritorno da Nasdaq. Non funziona così, se mi chiedi previsioni così dettagliate, diventa solo un esercizio di stile, che non può certo essere una reale misura della qualità di una startup».

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