Como: facciamo
finta che tutto va ben

“Facciamo finta che tutto va ben”, il ritornello di questa vecchia canzone è diventato il motto del Comune di Como sotto il governo di Mario Landriscina. Neppure le dimissioni, per nulla soft, di un assessore portante come Vincenzo Bella, il “ministro dei Lavori pubblici” di palazzo Cernezzi, sembrano diventare il viatico per una riflessione seria e approfondita sull’operato di questa esperienza amministrativa e sull’opportunità di proseguire quella che comincia sul serio ad assumere i tratti di una lunga agonia che lascia e lascerà la città per altri due anni abbandonata e allo sbando.

I gruppi della maggioranza litigano, la linea politica del Comune appare monocorde e sfiatata. E fra i tanti problemi irrisolti spicca quello del dormitorio che non c’è e non si fa e che assume una rilevanza drammatica sia per il decoro della città sia, permettetecelo, anche per quello delle persone che passano le notti dove capita vicino e all’interno del cuore di Como che sta riprendendo sia pure con timidezza a pompare il sangue vitale del ritorno dei turisti. Gran capolavoro fu quello di chiudere il centro allestito vicino a via Regina Teodolinda dopo l’emergenza dell’estate 2016. Mossa magari efficace dal punto di vista della propaganda, ma del tutto deleteria per la convivenza civile.

In questo contesto, si inserisce l’addio di un assessore che tra le tante cose non fatte, almeno un paio può vantarle (cosa non riscontrabile in altri “colleghi” di giunta): la sistemazione di via per San Fermo dopo la frana e, soprattutto, la rotonda alla fine della Napoleona. Piuttosto che niente, meglio piuttosto: un altro “karma” di questa amministrazione. Di fronte all’ulteriore sconquasso delle dimissioni di Bella che fa il sindaco? Trasmette l’ordine “a da passà a nuttata”. Per ora le deleghe dell’assessore saranno distribuite ad altri componenti della squadra, che, non essendo una di quelle use a vincere, per ribaltare il proverbio, si cambia e tanto: andatevi a vedere quella di partenza e l’attuale con il sovrappiù di Pattignano uscito con la casacca di Forza Italia per rientrare con indosso quella di Fratelli, vabbeh, sempre d’Italia sono, a causa del bostik collocato su una parte anatomica che non è il caso di nominare, e potrete giocare per un bel po’ al “nota le differenze della settimana enigmistica”. E non è finita perché trascorse le vacanze a settembre, c’è da scommettere che già nel carnet del sindaco c’è un altro giro di valzer.

Certo, la sorte sorride a questa giunta. La paralisi del lockdown ha potuto giustificare un immobilismo che, asfalti a parte (anche qui Bella), ci sarebbe stato comunque. E adesso c’è l’estate che, si sa, per le amministrazioni pubbliche è il tempo delle ferie e del meritato (?) riposo a prescindere. Perlomeno la scadenza del mandato si avvicina. Poi toccherà ai comaschi, finalmente, decidere cosa fare della loro città che però nell’attesa, rischia di languire ancora e non sarà facile poi rianimarla. Pensare che la persona con le competenze, almeno mediche, per questa mansione è proprio il sindaco, tra i principali artefici del lungo lockdown di Como. Almeno nella vituperata quanto rimpianta prima Repubblica c’erano i partiti e le segreterie che contavano, nel bene come nel male. E quando un’amministrazione entrava in corto circuito toccava a loro decidere se era riparabile oppure bisognava staccare la spina e buttarla via prima che provocasse altri danni. Adesso i partiti non ci sono più, i leader, paradosso in una stagione di leaderismo spinto, vagano incerti o in ordine sparso o subordinati a quello che riesce a fare la voce più grossa. Certo, l’elezione diretta del sindaco che stabilisce il tutti a casa quando lo si deve detronizzare, non aiuta. Non è così per gli assessori come si è visto in questi tre anni.

Com’era, più o meno, quella vecchia canzone di un tempo di guerra? Addio, mio Bella addio. Però poi l’armata se ne andava. Qui rimane. Ed è un’armata Brancaleone senza la genialità del regista e del cast di quel film.

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