Quell’ossessione folle contro il comandante. L’ultimo litigio sulle ferie. «Ma cosa fai?» Poi gli spari

Delitto in caserma Il brigadiere ha risparmiato il piantone accorso in aiuto del maresciallo. Tre ore di interrogatorio davanti ai pm: «Mi perseguitava»

Pochi secondi. Il tempo di uno sparo, il primo, in pieno petto. Poi di altri due colpi calibro nove, con la pistola d’ordinanza, una Beretta 92, chinato in avanti quasi a voler guardare più da vicino la propria vittima. Il tutto mentre il piantone sopraggiungeva per vedere quello che stava avvenendo, lui che solo pochi attimi prima aveva salutato il comandante come faceva tutti i giorni. Prendendolo in giro per il calcio, per il lavoro, battute quotidiane. «Salgo nell’alloggio», sono state le ultime parole. Poi, poco dopo, un urlo - «ma cosa fai?», «cosa stai facendo?» - e il botto. Pochi secondi, dicevamo. Quelli che hanno portato dalla vita alla morte il luogotenente Doriano Furceri, comandante della stazione dei carabinieri di Asso, ucciso dal collega Antonio Milia, brigadiere.

Con il passare delle ore, prosegue la ricostruzione di quanto accaduto all’interno della caserma del Triangolo Lariano quanto erano da poco passate le 17 di giovedì. La prima conferma che pare arrivare è quella di una azione fulminea. Il brigadiere e il suo comandante non avrebbero litigato. Non ci sarebbe stato alcun battibecco, nemmeno una parola tra i due. Il luogotenente si sarebbe trovato fin da subito la pistola puntata contro, nel corridoio vicino all’ingresso della stazione. Aveva da poco finito la giornata di lavoro, ammesso che ci sia un orario di fine servizio per un comandante di caserma.

Ad attenderlo, negli alloggi, c’erano la moglie e i figli, poi rimasti barricati anche loro – per ore – mentre Milia teneva il mondo sotto tiro. Impossibilitati ad uscire, a scendere, ad abbracciare il loro caro steso a terra, senza vita. Non è chiaro quando abbiano saputo quello che stava avvenendo, è certo invece che il consiglio arrivato anche a loro è stato di non uscire dalla casa, di rimanere dentro, al pari di uno dei figli di Milia, pure lui presente nell’alloggio in caserma mentre la moglie era fuori e il padre nell’atrio sparava. Furceri stava rincasando, insomma. Aveva finito il giro degli uffici e salutato. Un passaggio dal piantone, per quell’ultimo ciao. Voltato l’angolo, ecco spuntare Milia con la pistola puntata. «Ma cosa fai?», poi il botto del primo sparo, al petto. Il comandante sarebbe caduto, ancora vivo. Ed a questo punto, mentre il piantone usciva dalla guardiola per cercare di capire l’origine di quello sparo imprevisto, il brigadiere si sarebbe chinato in avanti per poi sparare altre due volte, sempre al petto, con l’intento di uccidere. Riuscendoci, perché il corpo del comandante rimarrà in quella posizione per il resto dell’interminabile nottata. Non contento, avrebbe poi puntato l’arma anche contro il piantone, sorprendendolo e costringendolo ad indietreggiare e allontanarsi.

Difficile capire cosa sia scattato nella testa dell’omicida. I rapporti con il comandante non erano buoni. Pare che Milia imputasse a lui tutto, compresi i suoi problemi psicologici che l’avevano portato a perdere l’arma di servizio che solo di recente gli era stata restituita. L’ultima lite era stata sulle ferie, che il comandante – essendo ottobre – aveva preteso che smaltisse prima della fine dell’anno. Una imposizione che nella mente del brigadiere potrebbe essere stata interpretata come un nuovo tentativo di allontanamento dalla caserma e dal lavoro. Una mancanza di stima, un ennesimo affronto, nonostante mancasse poco al congedo, nonostante la vita da militare fosse ormai quasi conclusa. Ed invece qualcosa ha scavato dentro, devastante, creando un cratere nero in cui in brigadiere è precipitato portandosi dietro anche la vita dell’incolpevole comandante. Sull’omicidio – e sulle lesioni al militare del Gis raggiunto ad una gamba da un proiettile – sono stati aperti due fascicoli. Uno dalla procura di Como, a firma del pm Michele Pecoraro, l’altro dalla procura militare di Verona che ora proseguirà nelle indagini da sola in quanto competente per la materia, essendo il movente nato da questioni di servizio.

L’avvocato difensore: «Ha prestato piena collaborazione. Ho trovato un uomo distrutto, disperato per tutto quello che è successo e per il dolore che ha arrecato a due famiglie»

E ieri pomeriggio, quando erano le 14.30, Milia – in caserma a Como – è stato anche sentito dai magistrati che ora lo indagano, alla presenza degli uomini del nucleo investigativo e dell’avvocato Roberto Melchiorre che lo assiste. «Ha prestato piena collaborazione – ha commentato il legale, figlio tra l’altro dell’ex storico comandante proprio della caserma di Asso, che dunque conosceva Milia da oltre trent’anni – Ho trovato un uomo distrutto, disperato per tutto quello che è successo e per il dolore che ha arrecato a due famiglie. Questa è una vicenda che dovrà essere approfondita anche sotto altri aspetti e non solo giudiziari».

L’avvocato ha già anche annunciato l’intenzione di chiedere una perizia psichiatrica. Da quanto è stato possibile capire, il brigadiere avrebbe parlato di tutto, dei suoi rapporti difficili con il comandante, di quel senso di sfiducia che sentiva attorno, di quanto accaduto – seppur in modo confuso – in quel maledetto pomeriggio di giovedì.

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