Rosa e Olindo: il pg punta a demolire tre prove, ma ignora altri venti elementi a carico

Strage di Erba Il magistrato che vorrebbe la revisione attacca le confessioni e accusa la procura: estorte. E ignora il movente, le rivelazioni inedite, le ricostruzioni identiche, le amnesie sull’alibi, i precedenti, la Bibbia

Per l’ammissibilità della richiesta di revisione, la Cassazione sottolinea come «il giudice deve valutare non solo l’affidabilità» della possibile nuova prova, «ma anche la sua persuasività e congruenza nel contesto probatorio già acquisito». Tradotto: i nuovi elementi da soli - in astratto - potranno anche sembrare convincenti, ma se nel quadro «logico-giuridico» complessivo perdesse di senso, allora non potrà certo essere accolta per riaprire il processo. E dunque, sulla vicenda di Erba, bisogna valutare se il tentativo del sostituto procuratore generale di minare tre prove contro i coniugi Romano, sia sufficiente a cambiare il quadro complessivo, ancorché - ovviamente - riuscisse a smontare gli elementi che giudica «malati».

L’atto del procuratore generale

Cuno Tarfusser, su sollecitazione dei difensori di Rosa Bazzi e Olindo Romano, ha ipotizzato una revisione basandosi su tre elementi: l’asserita inaffidabilità del testimone Mario Frigerio, la presunta falsa prova della macchia di sangue sull’auto di Olindo, e le pressione che i magistrati della Procura avrebbero fatto sugli indagati per farli confessare. Anche volendo accogliere le tre tesi, ci sono almeno altri 20 motivi per i quali è impossibile che gli assassini di Youssef Marzouk, Raffaella Castagna, Paola Galli e Valeria Cherubini siano altri se non i vicini di casa già condannati all’ergastolo.

Elementi a carico

Iniziamo dagli indizi a carico ignorati dalla richiesta di revisione. Il movente. Qualcuno si è dimenticato che il 13 dicembre, due giorni dopo la strage, Olindo e Rosa sarebbero dovuti comparire davanti al giudice di pace citati proprio da Raffaella Castagna, nell’ambito delle liti sempre più accese tra vicini di casa. Entrambi avevano già in precedenza staccato per dispetto la corrente in casa di Raffaella. Tra l’altro alcuni mesi prima i due coniugi si erano resi protagonisti di un inseguimento in auto «per spaventare» Raffaella.

L’alibi inconsistente e, soprattutto, le amnesie di Olindo sullo stesso. I due coniugi, che cenavano di solito non oltre le 19.30, quella sera mangiano dopo le 21.30 al McDonald’s di Como (tenendo lo scontrino, per consegnarlo subito ai carabinieri). Olindo giustificherà quel cambio di abitudine con il desiderio di vedere le vetrine per cercare un tappeto e dei regali di Natale, ma in un’intervista di 15 anni dopo si dimentica quella versione precedente e balbetta un «ogni tanto andavamo fuori e facevamo più tardi». Chi, condannato ingiustamente al carcere a vita, dimenticherebbe la sera che gli ha cambiato l’esistenza? Il portoncino che conduce verso casa Castagna non è stato forzato dai killer e i Romano - per loro stessa ammissione - avevano le chiavi. Le tracce di sangue si fermano poco oltre il portone della palazzina, fuori dal cancello e sulla strada non c’è nulla. E chi abitava a soli trenta passi? La pista alternativa - vagheggiata dal pg - della vendetta contro Azouz per lo spaccio coccia contro il fatto che complici e rivali di Marzouk erano già sotto intercettazione, per un fascicolo aperto a loro carico, e non c’è traccia di vendette, sgarri, o guerre tra bande. Infine: molte coltellate sono state inferte da un mancino, Rosa è mancina.

Confessioni

E ora le confessioni: entrambi i coniugi raccontano nel dettaglio, separatamente e senza poter sapere cosa dirà o ha detto l’altro il momento in cui Rosa si è ferita al dito (durante l’omicidio di Valeria Cherubini); i cassonetti utilizzati per gettare i vestiti e le armi (quello vicino al cimitero e quello per andare a Lipomo); il distacco della corrente, già fatta da entrambi, e che entrambi dicono essere stata opera di Rosa; entrambi indicano un accendino dello stesso colore (giallo-arancio) utilizzato per appiccare le fiamme; entrambi ricostruiscono allo stesso modo l’aggressione a Valeria Cherubini; Olindo parla del tappeto usato per cambiarsi e non lasciare tracce di sangue, una vicina confermerà che il tappeto all’ingresso della taverna è sparito dopo il delitto; Olindo racconta che quella sera Raffaella tornò con l’auto del padre, e non sulla Panda della madre come al solito (nella versione “innocente” sostiene che era già fuori casa all’arrivo delle vittime, e quindi non poteva sapere l’auto usata); Olindo parla dei cuscini usati per soffocare Raffaella e la madre, racconterà nei dettagli le prove generali del delitto nei giorni prima e anche di aver visto del sangue sui capelli nel bagno del McDonald’s (da qui la traccia sull’auto).

Come se non bastassero queste confessioni, ve ne sono altre tutt’altro che estorte: quelle scritte da Olindo sulla Bibbia (“Accogli nel tuo regno Youssef, sua mamma, sua nonna e Valeria a cui noi abbiamo tolto il tuo dono, la vita”), o messe nero su bianco in una lettera a un prete (“non ci siamo ancora resi conto di ciò che abbiamo fatto. Il perdono, il pentimento, si contrappongono all’odio e alla rabbia, alle umiliazioni subite in questi anni, la nostra colpa, la responsabilità di chi poteva evitare tutto questo e non lo ha fatto”), o riferite a Picozzi dallo stesso Olindo in un video che lo scrittore Pino Corrias ha potuto vedere (ma la difesa ha rifiutato, come nel suo diritto, di mettere a disposizione del tribunale).

Venti indizi che 26 giudici hanno giudicato gravi, precisi, concordanti e che per il Codice sono sufficienti a ritenere dimostrato un fatto. Oltre le prove che Tarfusser vorrebbe smontare.

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