Vita da medico di Pronto soccorso: ecco perché pochissimi vogliono lavorarci. «Arriviamo a fine turno a pezzi»

La storia Lo sforzo per coprire i turni, i soliti (pochi) candidati che vincono i concorsi e il fenomeno dei “gettonisti” che in un giorno riescono a guadagnare somme elevate: «Un’ingiustizia, che peraltro alimenta la fuoriuscita dal sistema sanitario di specialisti. La nostra professione è faticosa»

Ai concorsi banditi dagli ospedali per assumere medici di Pronto soccorso ormai si presentano così pochi candidati che i concorrenti rimasti vincono quasi ovunque. L’Asst Lariana, nota la scarsità di personale nel reparto d’emergenza di San Fermo, ha pubblicato a settembre un concorso per dieci medici a tempo indeterminato da impiegare nel pronto soccorso del Sant’Anna e nei servizi del 118.

Si sono presentate solo due giovani dottoresse, più una terza ammessa con riserva perché deve completare il suo percorso di studi. Anche i concorsi pubblicati dalle altre aziende ospedaliere lombarde, in tutto il Nord italia, non sortiscono migliori effetti.

«Ma siamo sempre i soliti - racconta Ilaria Malfasi, comasca di 34 anni laureata all’Insubria, una delle due specialiste in medicina d’urgenza selezionate dall’Asst Lariana –. Ci presentiamo a diversi concorsi ospedalieri e li vinciamo, in mancanza di altri candidati. Così ho fatto per esempio a Varese e a Lodi. Detto che io lavoro già da tre anni a Paderno nel reparto di emergenza e mi trovo bene. Dunque devo valutare. Il problema della carenza di personale c’è ovunque. La richiesta è alta e noi siamo talmente pochi che gioco forza entriamo. Tutti i pronto soccorso cercano, c’è gente che va e che viene, che ci prova e che cambia strada. E quindi anche io ho deciso almeno di guardarmi attorno. Per vedere quali sono le migliori opportunità».

A San Fermo insieme al primario e direttore sanitario Roberto Pusinelli in Pronto soccorso lavorano dieci medici, stando a quanto riporta il portale dell’Asst Lariana. Agli altri medici interni aventi titolo l’ospedale chiede uno sforzo per coprire dei turni. Senza così fare ricorso a personale esterno, pagato a gettone, come accade per esempio a Menaggio o a Erba.

«Il fenomeno dei “gettonisti” nei pronto soccorso è controverso – dice Malfasi –. Sono colleghi che in libera professione attraverso le cooperative vengono chiamati per fare solo alcune notti. Guadagnano in un solo turno somme importanti, più di mille euro. È chiaro che per i dipendenti interni, impegnati tutto il mese nell’emergenza urgenza, così diventa difficile lavorare. Fa rabbia, questi esterni prendono molto di più per presenze spot. Io ho incontrato medici preparati e capaci. Di fondo però si crea un’ingiustizia, che peraltro alimenta la fuoriuscita dal sistema sanitario di specialisti. Bisogna sempre ricordare che la nostra professione, che pure continua a piacermi, è faticosa, spesso non è gratificante, arriviamo a fine turno a pezzi. È un grande sacrificio, serve una forte vocazione».

Nei prossimi anni le cose non sono destinate a cambiare in meglio. Mancano infatti giovani neo laureati intenzionati a iscriversi alla specializzazione in medicina d’urgenza. Le borse non vengono assegnate. «Sì, questo è il vero problema a monte – spiega la giovane dottoressa – infatti non so se ne usciremo presto. È una questione che si trascinerà per anni. A meno di formare una nuova classe di medici. Oppure avere il coraggio di cambiare le regole. Di rivoluzionare la rete del sistema sanitario così da garantire anche l’emergenza urgenza, con una diversa organizzazione del lavoro negli ospedali e sul territorio».

Un cambio di passo che in questi anni, nonostante la pandemia, non siamo riusciti ad attuare.

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