Cappelletti, 29 anni dopo: «Cantù è la favorita, ma deve essere umile»

Basket A2 Segue sempre la S.Bernardo ed era assistente nella squadra promossa in A nel 1996: «A quei tempi non c’era tutta la pressione di adesso»

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La prima - e sinora unica, nonché purtroppo ultima - volta della promozione della Pallacanestro Cantù in serie A (stagione di grazia 1995-96) lui c’era. Non in campo, ma quale componente dello staff tecnico nelle vesti di assistente di coach “Dado” Lombardi. Lui è Dionigi Cappelletti, 59 anni, dal 1990 al 1998 in forza al club brianzolo e che dunque ha collaborato (da vice o da assistente) anche con Fabrizio Frates, Antonio Diaz Miguel, Bruno Arrigoni, Giancarlo Sacco, Virginio Lombardi e Massimo Magri.

“Dio” lo si vede spesso al PalaDesio a seguire le partite dell’Acqua S.Bernardo e allora lo abbiamo intercettato non solo per provare a fare un raffronto tra ora e allora.

«Fondamentale l’atteggiamento»

Partiamo dalla stretta attualità. «Credo che questa Cantù sia onestamente la squadra più attrezzata dell’A2 sin da inizio stagione e a maggior ragione dopo che ha inserito Hogue e Okeke. E questa deve rappresentare una consapevolezza in vista della finale. Brienza ritengo abbia fatto un ottimo lavoro, allungando le rotazioni».

Anche quella di trent’anni fa era una squadra più lunga rispetto alle contendenti? «Molto probabilmente no, ma avevamo due americani che facevano la differenza. Soprattutto uno che era Thurl Bailey, che per l’A2 era veramente un lusso. Dopodiché avevamo un gran bel gruppo di italiani a comporre un team veramente equilibrato e ben strutturato».

L’anno precedente la promozione era clamorosamente svanita alla “bella” contro Arese e una Cantù in A2 - un po’ come adesso - non si poteva più vedere. Ma a livello di pressione come stavate? «Meglio di ora (sorride, ndr) non foss’altro perché non c’era particolare pressione mediatica e soprattutto quella derivante dai social. Perché ora tutti dicono tutto e il contrario di tutto ma non più solo al bar, ma per iscritto. Squadra, staff, società devono mettersi i tappi nelle orecchie e i paraocchi come i cavalli, ascoltando soltanto sé stessi in maniera però sinergica e mostrare una coesione totale. E farsi scivolare tutto addosso riguardo quello che accade all’esterno».

«Detto ciò - aggiunge - , è fondamentale che l’atteggiamento sia quello di affrontare la finale da squadra non favorita, senza essere intaccata dal retropensiero “quest’anno dobbiamo farcela a tutti i costi”. Riconoscendo che Rimini ti è arrivata davanti in campionato e allora provando a dimostrare a sé stessa che la classifica era bugiarda. La chiave sarà la difesa ed è per questo che ritengo che una partita Cantù - che difende forte - se la possa prendere in Romagna». Una considerazione: contro Rimini la S.Bernardo non avrà il fattore campo e quest’anno in trasferta - playoff inclusi - i biancoblù hanno titubato. «La regular season è una cosa, i playoff un’altra e la serie di finale un’altra ancora. Il passato certo insegna, ma occorre mettere da parte talune sue negatività e credere nelle positività del presente. Tipo essere andati a vincere su un campo difficile come quello di Rieti pur non giocando bene. Altro aspetto è dimenticarsi che con Rimini si è vinto entrambe le volte in stagione e accingersi ad affrontarla con la massima umiltà. Conscio che incontrerai delle difficoltà. Pur con quel pizzico di presunzione che però aiuta altrimenti non arrivi da nessuna parte».

«Brienza non ha scimmiottato»

Che ne pensa di Nicola Brienza, che tra l’altro lei ha allenato nelle giovanili? «Che ha appreso bene da me... Scherzo, naturalmente, perché in realtà ha imparato da altri tecnici ben più importanti e famosi. Ma come si dice, se la pianta dà buoni frutti qualcosa quando era una piantina ha avuto, altrimenti si stortava. Concedetemelo...».

Le ricorda qualcuno degli allenatori con i quali ha lavorato? «Direi di no, ma credo che abbia “rubato” un po’ di qua e un po’ di là a coach di statura quali Trinchieri e Sacripanti. Ma lui è Nicola Brienza perché mi sembra non abbia scimmiottato nessuno».

Dalla panchina al campo. Quale ritiene possa essere il giocatore determinante nelle finali? «Non posso non dire Basile perché è davvero uno che sposta a questi livelli e fa la differenza. Ma il giocatore chiave penso possa essere Moraschini come peraltro già dimostrato perché in grado di dare una mano sia come esterno sia come lungo aggiunto. Premesso che tutti dovranno portare il loro mattoncino, potrebbe però essere davvero lui l’ago della bilancia».

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