Pallacanestro Cantù / Cantù - Mariano
Giovedì 23 Ottobre 2025
«Brescia, casa mia. A Cantù dico: ci vorrà coraggio»
Il gm Santoro domenica sarà un ex: «Con loro sono arrivato in Europa, ora sono forti. Proveremo ad attaccarli»
“La mia Brescia”: sei anni profondi, di successi e preparazione a un futuro da big. Per Sandro Santoro, gm di Cantù, le sei stagioni (dal 2015 al 2021) in cui ha lavorato alla vecchia “Leonessa” non sono un passaggio banale. E Cantù domenica sarà di scena proprio lì, a casa della capolista solitaria della serie A. Per Santoro non può essere un posto banale: da dirigente ha ottenuto la promozione in serie A, una Coppa Italia sfiorata, una semifinale scudetto, tre partecipazioni all’Eurocup. Storia da raccontare.
Santoro, in quei sei anni è stato un po’ come tornare a scuola?
È stato un percorso importante e formativo per me. Il club in quegli anni è cresciuto, anno dopo anno. Arrivo e veniamo promossi in A, un punto di partenza che semplifica tante cose.
Lì avete gettato le basi per una serie A da protagonisti?
Tanti fattori sono coincisi ma non sono mai scontati. Brescia è una città industriale, con situazioni che facevano pensare a un progetto di ampio respiro. Non solo: i valori umani all’interno del club sono stati un’arma fondamentale e anche per questo motivo il progetto è cresciuto ancora.
Non la sorprende quindi questo primato?
Brescia sta facendo un percorso importantissimo. Gran parte del merito va a Graziella Bragaglio, Matteo Bonetti, Mauro Ferrari, con quest’ultimo che ha dato propulsione al progetto, posizionando Brescia tra le squadre più forti. Non, non è una sorpresa.
Ci sono giocatori-simbolo di quegli anni?
Il primo che mi viene in mente è Moss, l’emblema della rinascita. Nessuno mai si sarebbe aspettato che lui scegliesse Brescia e questo testimonia come percepì l’importanza della piazza: un grande professionista, una persona intelligente. Il suo fu un rischio calcolato. E lui diede l’impronta dirompente per costruire sul campo una mentalità.
Ricordi sparsi in serie A?
Al primo anno ci qualificammo alle Final Eight di Coppa Italia e uscimmo subito contro Sassari, per poi salvarci con quattro turni d’anticipo. Consolidando il gruppo arrivammo poi in finale di Coppa, perdendo contro Torino: una finale che ricordiamo ancora tutti. Poi la semifinale scudetto con Milano… riuscimmo ad acquisire il diritto di disputare l’Eurocup.
Dalla A2 all’Europa nel giro di pochi anni, che effetto vi ha fatto?
È stata un’esperienza di crescita. Non si possono raccontare le energie fisiche e nervose che una competizione europea porta via, specie per chi non è abituato a disputarle. Ma fu un grande passo per il club e la città.
Sullo sfondo, proprio come a Cantù, c’era un palazzetto da inaugurare…
Fu pronto al mio penultimo anno, un’esperienza che ho vissuto in prima persona. In quel caso, aiutò la lungimiranza dell’ex sindaco Emilio Del Bono: capì che, grazie al palazzetto, sarebbero cambiate in meglio anche le prospettive del club.
Perché è finita a Brescia?
Si stava aprendo un nuovo ciclo. E ogni imprenditore ha una propria visione e un modo di gestire il club doverso da altri. Ma siamo nello sport, si sa che i cambiamenti fanno parte del gioco.
Fu un addio polemico?
Assolutamente no. C’è tuttora un rapporto di grande amicizia con i dirigenti, ci sentiamo spesso. Ho fatto un passo indietro, senza fratture e traumi. La mia fu una scelta onesta e Ferrari riconobbe che quell’addio mi fece onore e che mi avrebbe dato magari un dispiacere. Ma fu la cosa giusta, i risultati stanno dando ragione a Brescia. Ma penso di aver lasciato un buon ricordo, che è ciò che conta.
Domenica Brescia-Cantù. Dopo Trapani, un’altra squadra che non ha ancora perso. Il calendario si è accanito?
Ma no, prima o poi si gioca contro tutte. Certo è che Brescia ha una solidità fisica, mentale e tecnica importantissima.
L’aver cambiato poco sta dando dei vantaggi?
La squadra è composta per nove decimi dagli stessi giocatori dello scorso anno e il giocatore “nuovo” è CJ Massinburg che era a Brescia due anni fa. Inoltre, l’allenatore è Matteo Cotelli, che era già nello staff: si può dire che gli ho fatto io il primo contratto da professionista. È un fatto anomalo per la pallacanestro cambiare poco: questo ha già creato un vantaggio rispetto alle competitor che rifatto i roster.
Che riflessioni si fanno a Cantù dopo la sconfitta contro Trapani?
Crediamo sia necessario migliorare le cose basilari. A noi serve ancora la conoscenza reciproca e anche del campionato, dopo tanta A2. Serve del tempo per metabolizzare a tutti i livelli questo passaggio. In A si deve cambiare tanto, per forza, e noi dobbiamo mettere olio nei meccanismi.
Che partita sarà domenica?
Affrontare una squadra importante e imponente come Brescia fa parte del percorso. Ma non ci inventeremo nulla, nessuna alchimia. Giocheremo a viso aperto, con il dovuto rispetto nei confronti di una squadra che viaggia benissimo da anni. Dobbiamo anche un prendere consapevolezza delle nostre capacità, appellandoci anche a quello spirito di gruppo che già c’è e a cui dobbiamo dare un valore.
In poche parole?
Arrivare a Brescia, con la certezza di dover dare battaglia alla squadra migliore che il campionato sta offrendo.
L. Spo.
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