«Che tifosi a Cantù: non pretendevano, sognavano con noi»

Marconato, ex biancoblù: «Piazza meravigliosa, tanto appassionata, ma senza metterti pressione»

Una carriera nei club lunga 24 stagioni, punteggiata da 4 scudetti, 8 Coppe Italia, 4 Supercoppe Italiana, oltre a una Copa del Rey quando prestava servizio in Spagna al Barcellona. E un’altra vita in Nazionale dove i suoi 195 gettoni ne fanno il 12° azzurro più presente di sempre.

Denis Marconato, un’istituzione quantomeno per un ventennio nel settore dei lunghi - lui che di centimetri ne assomma 212 -, è stato uno dei big di caratura internazionale che Cantù ha avuto la fortuna di avere con sé in tempi piuttosto recenti in un paio di annate ancora degne di ricordo nella memoria dei tifosi biancoblù.

Denis tornò poi a frequentare la Brianza dei canestri nel momento in cui la parabola del club ai massimi livelli stava intraprendendo la fase discendente. Era la parentesi di un atleta agli sgoccioli di una carriera che avrebbe trovato l’epilogo a Sassari nel 2015, anche se l’annuncio ufficiale dello stop definitivo alle trasmissioni venne rimandato al giugno 2017, a 42 anni, dopo una stagione trascorsa nello staff tecnico dell’Under 20 e Under 18 della Benetton Treviso.

A Treviso era iniziato tutto e a Treviso è tornato. Soltanto che allora giocava e ora naturalmente fa altro. Cosa per la precisione?

Sono il responsabile tecnico del settore giovanile. Alleno inoltre l’Under 14 e faccio il vice dell’Under 15. E poi qualcosina con la serie A (nel club in cui è direttore sportivo il canturino Simone Giofrè, ndr).

Non faccia il modesto: la definizione del ruolo in seno alla prima squadra è in realtà quella di “player development coach”. Che tradotto?

Al mattino mi occupo delle sessioni individuali di lavoro con i singoli giocatori. Sono a loro disposizione. In particolare dei lunghi.

E ti credo...

Faccio tesoro della mia esperienza per provare a trasmettere loro qualcosa di concreto.

Tra l’altro, lei a Treviso detiene un record decisamente curioso, ma che la dice lunga.

Con quella maglia ho vinto tutti gli scudetti nelle varie categorie: allievi, cadetti, juniores e serie A. Insomma, mi sono dato da fare. Ed è la passione che mi fa stare ancora in palestra.

Treviso la madre patria, con scorribande a Barcellona, San Sebastian, Milano e Siena prima di raggiungere la Brianza. A proposito, la sua prima volta a Cantù ra stata ovviamente da avversario. Se la ricorda?

Avevo sì e no 19 anni, e la sera precedente la partita andammo a cena nel ristorante di fronte al nostro hotel. Avevo Pittis al fianco e ordinammo cotolette. Il titolare tenne un’autentica lectio magistralis riguardo a come avrebbe cucinato la vera “milanese”. Restammo colpiti dapprima dal suo modo di decantare e poi dalla bontà del piatto. Quando tornai da giocatore di Cantù scoprii che quel signore era il “Saetta”. Un personaggio.

A proposito, cosa l’ha più colpita di quelle sue stagioni canturine?

Di positivo un sacco di cose.

Avanti.

La passione che animava l’ambiente e che si percepiva tra la gente. La competenza e l’abnegazione dei vari staff, da quello medico con il compianto dottor Giani, a quello tecnico con un allenatore eccellente come Trinchieri e i suoi preziosi assistenti, alla stessa proprietà. Alla professionalità ad alto livello si accompagnavano un’umanità e una disponibilità totali. Quel quid che ha contraddistinto la Pallacanestro Cantù di quel tempo e che la rendeva diversa.

Piaggeria?

No, verità. Era un ambiente familiare, ma estremamente professionale. Un esempio. E un unicum. Date retta a uno come me che qualche esperienza di qua e di là l’ha fatta...

Una volta approdato a Sassari, rilasciò un’intervista alla vigilia di una partita al Pianella in cui disse: “Quando si gioca lì da avversario, gli allenatori chiedono spesso ai giocatori di non fare infiammare il pubblico”. In pratica?

Ne ho frequentati tanti di palazzetti, ma il Pianella è (lo afferma ancora al tempo presente, ndr) il Pianella. La caratteristica delle squadre canturine è sempre stata quella di avere giocatori che sanno accendersi di botto. Il problema, per chi li affronta, è che il giocatore fa da detonatore per il pubblico che scatena l’inferno e intimorisce l’avversario. E poi c’è un’altra particolarità.

Quale?

Che ho conosciuto una piazza “passionale”, ma che non ti metteva pressione. Ci tenevano tantissimo a veder Cantù giocare dando l’anima. Però non pretendevano, piuttosto direi che sognavano. E noi sognavamo con loro anche se allora c’era una Siena imbattibile. Eppure qualche bella soddisfazione ce la siamo tolta. Tornando ai tifosi, anche quando si faceva un giro in centro erano davvero molti quelli che ti fermavano, ma senza essere invadenti. Insomma, ci faceva piacere ed era gratificante. Ancora adesso sono loro riconoscente.

Il palazzo di Desio, a disposizione per l’Eurolega e le partite di cartello del campionato, poteva ritenersi - per gli effetti scenici - un duplicato del Pianella?

Francamente no, perché è impossibile replicare il Pianella. Solo il PalaDozza di Bologna gli si avvicinava.

Dopo quelle due grandi annate, lei torno a Cantù nel 2014 per un pezzo di stagione. Fu la scelta giusta?

Certo che sì, anche mia moglie era felice di tornare e per me ha rappresentato un buon ritorno. Mezzo anno, vero, per sostituire l’infortunato Marco Cusin. Ritengo di aver dato ancora una buona mano alla causa, aggiungendo esperienza a quel gruppo. E anche quell’avventura io la porto ancora dentro al cuore.

Proprio in quell’occasione, sua figlia Giulia ebbe il primo approccio con la pallavolo. Lo segnaliamo perché nel frattempo gioca da centrale in serie A a Trento e con la Nazionale è già stata una volta medaglia d’argento ai Mondiali Under 21 e ai Mondiali Under 18 nonché d’oro agli Europei U.21.

C’è da dire che inizialmente a Cantù praticava la ginnastica artistica e solo quando siamo tornati la seconda volta si è data al minivolley soltanto perché c’era una sua amica che giocava.

Ora ha vent’anni e un avvenire di sicuro successo, almeno così sostengono gli esperti. Buon sangue non mente...

Ha giocato per tre anni nel Club Italia a Milano e ora è a Trento. È bravissima, riuscendo a conciliare lo sport ad altissimo livello con gli studi universitari e prendendosi delle belle soddisfazioni. Decisamente molto più brava di me...

Vero che Giulia ha scelto di indossare la maglia numero 8 perché quello era il numero di papà Denis all’Olimpiade di Atene?

Sì, è così. Lei in quell’estate del 2004 aveva 18 mesi ed era presente in Grecia. Ovviamente non si ricorda nulla, ma mi ha voluto comunque “onorare”. Ammetto che mi sono emozionato e pure un po’ commosso quando me l’ha comunicato.

E lei come ricambia?

Quando posso vada a vederla giocare.

In rampa di lancio ci sarebbe pure la sua secondogenita.

Beatrice, la piccola, gioca a sua volta a pallavolo nel settore giovanile dell’Imoco Conegliano (top club in Italia e in Europa, ndr). Ha 11 anni, è alta 1.85 e sembra promettere bene nel ruolo di banda o di opposto. Ha già vinto nel 2023 il titolo nazionale di “3 contro 3” al cospetto di avversarie di due anni più grandi.

Torniamo a lei, a quando affermò che «una volta chiusa la carriera mi piacerebbe tornare a vivere a Barcellona. Chissà mai...”. Niente più Spagna, invece, per Marconato?

Era la mia e la nostra volontà come famiglia, ma nel frattempo l’attività agonistica delle due “bimbe” ci ha frenato. Però, mai dire mai.

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