Como Todo gioia. «Squadra cresciuta, Morata è l’ideale»

Uno dei giocatori simbolo degli Anni Ottanta ha un passato nella Lazio: domenica è la sua partita. Todesco: «Trovo molto positivo investire sui giovani»

CALCIO

Como-Lazio è anche un nastro da riavvolgere, tornando ben più indietro della sconfitta pesante dell’anno scorso. È una partita che per qualcuno può voler dire qualcosa in più. E tra di loro c’è Enrico Todesco, uno dei volti simbolo del grande Como anni 80, comasco ormai da decenni, uno che del Como non si perde una partita. Ma che nella Lazio ha vissuto una stagione particolare, molto giovane.

«Mi mandò Janich»

E prima di questa sfida il suo racconto parte proprio da lì. «Un altro mondo, di sicuro. Ma poi quell’anno... Insomma, io, cresciuto nel settore giovanile del Como, finisco alla Lazio grazie a Janich, ds che aveva appena lasciato il Como. Avevo diciannove anni, fui scelto come terza punta dietro Giordano e Garlaschelli», mica robetta insomma.

«Sì però allora c’erano meno cambi, giocavano sempre gli stessi. Ed erano ottimi giocatori, anche se un po’ scansafatiche (ride, ndr )... Giordano è stato il compagno più forte che io abbia mai avuto, un fuoriclasse vero, ma la stagione è stata tribolatissima».

Perchè proprio quello fu il campionato in cui scoppiò la bomba del calcioscommesse. «Io ero lì, a Pescara, nella famosa domenica degli arresti in campo», un’immagine che chiunque abbia almeno cinquant’anni si ricorda. «Scioccante. Ricordo lo spogliatoio diviso a metà dal cordone di polizia, gli indagati da una parte e noi dall’altra, tremendo. Poi alla fine ci salvammo, ma la sentenza mandò la squadra in B. Del resto noi a volte viaggiavamo con Trinca e Cruciani (i due artefici del giro di scommesse, ndr) sul pullman...».

Esperienze forti, «io arrivai a 19 anni e quando me ne andai era come se ne avessi 35, è stata un’esperienza formativa, che mi ha fatto crescere tanto. Clima pesante, i tifosi che ci lanciavano le monetine, non si vedeva l’ora che la stagione finisse. In campo fui anche un po’ sfortunato, segnai la prima volta che entrai in campo, a Catanzaro. Il gol fu annullato, ma la sera alla moviola si constatò che invece era una rete valida...».

Ricordi comunque indelebili, anche se poi, dopo anni decisamente migliori con Genoa e Pisa – promosso in A con entrambe - il fulcro della sua carriera sono stati chiaramente i sei anni al Como dall’83 all’89.

«Promozione anche qui e poi cinque anni in A. Il paragone con oggi è impossibile, quella squadra in cui eravamo quasi tutti “figli di Favini”, ragazzi del vivaio, giocava alla pari contro i giocatori migliori del mondo, pazzesco. Se questo Como è sorprendente, quello era un miracolo. Il livello era più alto, ma c’erano anche meno partite, rose molto più ridotte. E i campioni veri, di grandissimo talento, erano pochi. Se guardiamo il Como di oggi, i giocatori di qualità superiori alla media sono molti di più».

«Rimpianto per Strefezza»

Questo Como gli piace, «soprattutto sono molto curioso di vederlo alla prova in campionato. La squadra è cresciuta in qualità rispetto all’anno scorso, forse l’unico rimpianto è Strefezza... Ma di elementi che possono cambiare la partita con una giocata ce ne sono diversi. Trovo molto positiva l’idea della società di investire su giovani talenti, è il modo giusto per costruire una squadra che abbia un futuro, adatta alla filosofia di Fabregas. Morata? Intanto, da tifoso, lo ringrazio per aver fatto questa scelta, non scontata per un giocatore del suo calibro. Credo sia la punta ideale per questo tipo di gioco, è bravo a creare spazi, a far muovere bene la squadra».

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