Dalmonte: «Cantù, bei ricordi. L’A2? imprevedibile»

L’ex canturino ora è a Nardo: «Formula migliorativa. S.Bernardo, che roster. In Brianza belle persone»

Inseguire un successo? Importante. Meglio, però, se si è circondati da persone di qualità. Condizione che, per Luca Dalmonte, è diventata quasi prioritaria. Il tecnico imolese, apprezzatissimo ex coach di Cantù nel biennio 2007-2009, alla vigilia di cambiamenti epocali – il passaggio di proprietà dalla famiglia Corrado ad Anna Cremascoli – da un mesetto siede sulla panchina di Nardò, prossima avversaria di Cantù in campionato.

A sessant’anni, insegue un nuovo traguardo, rimettendosi in discussione, ancora in serie A2, dopo la stagione alla Fortitudo Bologna. Portando anche in Puglia il suo credo di sempre: lavoro, lavoro, lavoro. Coach, quattro partite sulla panchina di Nardò: due sconfitte, poi due vittorie consecutive nella fase a orologio per la sua nuova squadra.

Comincia a farsi sentire la sua mano?

Stiamo metabolizzando l’ingresso di nuove idee: non dico migliori o peggiori delle precedenti, sono solo nuovi concetti. Siamo in una fase di transizione: alcune idee sono già consolidate, altre stanno entrando.

È stato quindi un impatto positivo?

Siamo in una situazione transitoria, in cui ho trovato grande disponibilità. E me la tengo stretta. Ma non mi sto inventando nulla: cerchiamo di sviluppare situazioni che si sposino con le caratteristiche della squadra.

Dopo aver battuto Latina e dopo il colpo a Milano, arriva Cantù. Che partita si aspetta?

Giocheremo contro una squadra con caratteristiche ben precise. Non sarò io a dire che Cantù è costruita per vincere, ma il roster è lì da vedere.

Teme qualcuno in particolare?

Cantù ha qualità chiare: un Hickey che ha licenza di inventare e segnare, ha esterni fuori taglia per la serie A2, interni che hanno caratteristiche bidimensionali, Baldi Rossi in particolare. Vedo tanta varietà, il che si traduce in letture complicate: serviranno attenzione e presenza costante.

Trapani e Cantù da una parte, Fortitudo dall’altra hanno già perso in una fase a orologio che sta regalando sorprese. Lei che idea si è fatto?

La formula è migliorativa rispetto a quella dello scorso anno, in cui ci sono state partite che contavano poco. Ora contano tutte e questo incrocio è più intrigante, ma anche più complicato. Trapani ha un primato consolidato, magari nella sconfitta non era prontissima. Sulle sconfitte di Cantù e Fortitudo, è chiaro che abbiano affrontato squadre affamate. Si alzano le motivazioni delle avversarie di bassa classifica: il tempo stringe e l’imprevisto può arrivare.

E anche Nardò ha bisogno di punti…

Tutti vogliamo evitare il girone Salvezza, un girone infernale che può concludersi con la retrocessione. Ma, se dovesse essere quello il nostro destino, dovremo essere lucidi e affrontarlo bene, senza iniziarlo con la morte in faccia. Ma vogliamo evitarlo, sia chiaro, consapevoli che non sarà semplice.

Lei ha vinto la A2, ha consigli a chi ci prova da tre anni come Cantù?

No, no, non do consigli. Chi è preposto per farlo, è pronto per darne…

Come si spiega allora la presenza di tante big in A2?

Credo che quando si vuole risalire, serva anche un progetto. Costruire ogni anno una squadra che si reputa in grado di poter salire subito è molto rischioso. Io ho avuto fortuna di cominciare un progetto triennale a Verona, con l’obiettivo di salire al termine. Un progetto riuscito, ma senza di me purtroppo.

Serve pazienza, però…

Vero. Ma credo serva costruire un roster nelle stagioni: occorre trovare un nucleo solido, da sistemare con le indicazioni che dà il campionato. Questo permette di imparare anche grazie alle sconfitte. Ma devi darti un margine, altrimenti dopo ogni ko si finisce nello psicodramma collettivo, perdendo la lucidità necessaria.

In generale, che pensa di questa A2?

Dovrebbe tendere a darsi uno status di “formazione” per tutti, arbitri compresi, per poi puntare alla A. Ora ci sono troppe squadre, il numero ampio non favorisce la selezione. Ma dall’anno prossimo, con venti squadre, le cose potrebbero cambiare in meglio.

Ci permetta di citarla: «Tanto più un amore è stato grande, tanto più importante è preservarlo intatto». È una parte del suo messaggio di commiato al termine del suo biennio canturino. Che ci dice a proposito?

Una delle fortune che abbiamo in questo mestiere è girare e conoscere luoghi e persone. Cantù mi ha fatto conoscere persone vere, a cui sono rimasto legato. Le persone determinano i rapporti: la mia fortuna è stata passare due anni a Cantù, conoscendo persone, non solo legate alla società, che rimangono e che mi hanno arricchito.

E professionalmente?

La prima stagione fu importante, settimi e con la qualificazione ai playoff, quando in estate ci davano per spacciati. Il secondo anno fu più complicato per vari motivi: due rookie da inserire, poi io feci valutazioni troppo ottimistiche sugli altri. Ma il primo ricordo, se penso a Cantù, fu il rapporto con famiglia Corrado, che stava per vendere il club alla famiglia Cremascoli.

Quindi, ancora una volta, le persone al centro di tutto…

Oggi sono in momento particolare della mia vita. L’obiettivo è avere a che fare con brave persone, al di là dei soldi e delle categorie. Per me è fondamentale.

E a Nardò è così?

Il gm Nicolai ha garantito sulla qualità delle persone e della proprietà: la sto toccando con mano. Il confronto non manca, ma ci sono rispetto e trasparenza: per me questo vale tantissimo. Per non parlare del posto in cui sono: appena giri a sinistra o a destra, ci sono luoghi incantevoli.
L.Spo.

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