«Emozioni a Cantù. Ora il basket è fuori dalla mia routine»

Ortner, ex biancoblù: «Da tempo lavoro nell’azienda leader mondiale di impianti per l’udito»

Il primo - e al momento ancora l’unico - giocatore austriaco a indossare la maglia della Pallacanestro Cantù, mise piede in Brianza nell’estate del 2009. Si trattava di un lungagnone (206 centimetri d’altezza) che in Italia aveva già fatto tappa per tre stagioni a Reggio Emilia e per una a Udine e all’anagrafe faceva Benjamin Ortner. Aveva 26 anni e una “morosa” al seguito, Lisa, che avrebbe sposato nel 2012.

Due annate intere le sue a Cantù (29 presenze al primo anno - quando in pratica saltò l’intera serie dei playoff a causa di un infortunio alla caviglia -, con 10.3 punti di media, e 35 gettoni al secondo anno con 9.2 punti), mentre la terza si concluse anzitempo perché a dicembre del 2011 (8 presenze e 5 punti di media) il rapporto con il club si interruppe alla luce di una scelta tecnica operata da coach Andrea Trinchieri (a gennaio sarebbe arrivato Greg Brunner).

Ortner - ora quarantenne - avrebbe poi giocato a Treviso, Siena, Venezia, Avellino, Brescia per chiudere la carriera là dove l’aveva avviata in Italia, vale a dire Reggio Emilia. Era il 2019. Dopodiché di lui si sono perse le tracce nel mondo del basket.

Benjamin, ma che fine ha fatto?

Nessuna fine, in realtà, bensì un nuovo inizio.

Si spieghi.

Con la pallacanestro ero giunto a saturazione. Volevo finalmente godermi la famiglia e trovare un lavoro che nulla avesse a che fare con il basket.

E dunque?

A maggio del 2019 ponevo termine alla carriera, a settembre dello stesso anno venivo assunto dall’azienda leader mondiale di impianti per l’udito. La Med-el, con sede proprio a Innsbruck, la mia città, e che dà occupazione a oltre 2.500 dipendenti.

E come ci è arrivato lì?

Ho messo a frutto gli studi di Informatica che aveva svolto nei miei anni al college negli Stati Uniti. Cercavano un programmatore e mi sono fatto avanti. Ed eccomi ancora qui. Ho la fortuna di svolgere non un lavoro qualsiasi, ma uno che mi piace un sacco perché asseconda ciò per cui ho studiato.

Davvero mai pensato, neppure successivamente, di allenare o comunque di restare nell’ambiente cestistico?

Avevo voglia di andar via dal basket per prendere un po’ di fiato dopo un ventennio in cui la pallacanestro aveva rappresentato la priorità assoluta. Sono così tornato in Austria, mi sono dato da fare per costruire la casa e mi sono occupato dei bambini. Se devo essere sincero, ultimamente sto pensando che potrei fare ancora qualcosa, tipo magari allenare i ragazzini. Ma è prematuro parlarne. Non ho particolari aspettative.

A proposito di bimbi, quanti figli ha?

Tre. Due gemelli, Elias e Gabriel di 10 anni, e Sofia di 7. Frequentano tutti la scuola elementare bilingue, tedesco e italiano. Ci tenevamo molto.

In che senso?

Che l’Italia ha lasciato una forte impronta su di me e sulla mia famiglia. Doveroso le restituissimo qualcosa.

A proposito di Italia, lei ha giocato in ben otto squadre diverse. Non un po’ troppe?

Ho cambiato tanto, vero, ma sono stato bene ovunque. E poi da professionista ambisci sempre al posto migliore. Inoltre, mi piaceva scoprire posti sempre nuovi perché sono curioso.

E l’avventura canturina?

Non ho deciso io di andar via. Ma quella decisione di “tagliarmi” non mi sorprese affatto perché era chiaro da tempo che l’allenatore di quel periodo non voleva più continuare con me.

Cosa le è rimasto di quell’esperienza in terra brianzola?

Un gran bel ricordo. Quello di una cittadina piccola, ma abitata da gente dal cuore grande. Noi giocatori sentivamo nitidamente tutto il sostegno che i tifosi ci offrivano. E con la proprietà Cremascoli avevamo la chiara sensazione di far parte di qualcosa d’importante. Che dava identità. Pur in un contesto familiare. E poi...

Poi cosa?

Rammento che alla mia prima stagione a Cantù nell’ambiente della pallacanestro si diceva che fossimo una squadraccia e che avremmo faticato a salvarci. In realtà chiudemmo al quarto posto la regular season e giocammo le semifinali playoff per lo scudetto... E la nostra soddisfazione fu enorme, appunto perché nessuno si aspettava un percorso del genere.

Sa che lei è ancora benvoluto da queste parti?

Mi fa piacere apprenderlo. Significa, probabilmente, che ho lasciato un buon segno se sono ancora ricordato pur non essendo un big. Abbiamo dato forti emozioni ai tifosi, ma altrettante ne abbiamo ricevute.

Lo scudetto con Venezia nel 2017 il top della sua carriera?

Non è stata quella la soddisfazione più grande, perché non sempre conta il punto d’arrivo, bensì come hai sviluppato il percorso. E, ad esempio, ricordo con maggior gioia la stagione precedente il tricolore, sempre a Venezia e altre in squadre diverse.

Con Siena nel 2013 aveva vinto scudetto, Coppa Italia e Supercoppa, poi tutti quei titoli vennero revocati per le note vicende legate alla Mens Sana. Quanto ha, sportivamente, sofferto?

Zero. Io non do alcuna importanza alla collezione di trofei. Basti dire che in casa non ho alcuna divisa da gioco o alcun riferimento ai miei anni da giocatore. E neppure cimeli. Mi interessa aver giocato ad alto livello e quello non me lo può revocare nessuno.

Non fosse passato per la Ncaa - al Metropolitan State College of Denver - avrebbe avuto la stessa carriera in Europa?

Non saprei. Davvero. Ho cercato anche in quegli anni di dare sempre il meglio, ma senza fortuna non si va da nessuna parte. Andare negli Stati Uniti era un passo che ritenevo fondamentale per i miei studi e certo non avevo ancora l’idea di poter fare il professionista nel basket. Completare, al meglio possibile, il corso di studi, era l’unico obiettivo.

Lei è nel gotha all time della pallacanestro austriaca.

Ora gioca in Nba Jakob Pöltl (centro dei Toronto Raptors, ndr) che dunque deve essere considerato il “nostro” numero uno di sempre. Sul podio potremmo salire io e Rašid Mahalbasić, un cestista sloveno con cittadinanza austriaca.

Risiedendo a Innsbruck, immaginiamo che lo sci possa essere una sua passione.

Sì, sci da discesa, mentre in estate mi do alla corsa e alla mountain bike. E pure al nuoto.

Il Trampolino del Bergisel è un simbolo della sua città. Si è mai cimentato?

No, e ora sono troppo vecchio... Mi basta e avanza goderne il profilo dalle finestre di casa.

Ma il basket non lo segue più neppure in televisione?

Premesso che gli sport preferisco praticarli e non guardarli, la risposta è che veramente non ho mai più assistito a una partita in tv.

Neppure riguardo la Pallacanestro Cantù si è più tenuto informato?

Confesso che quando mi avete contattato per dirmi che volevate farmi un’intervista sono andato a cercare qualcosa su internet e con mia grande sorpresa e disappunto ho scoperto che da alcuni anni gioca in A2. Non l’avrei mai detto... Non posso far altro che auspicare un veloce rientro nel campionato che più le appartiene, quello di serie A.

© RIPRODUZIONE RISERVATA