I derby del charlie: «Da giocatore e coach il mio doppio romanzo»

Recalcati, ex di Varese-Cantù: «Qui da player, là da allenatore, tutto bello. Va spiegato agli americani»

Ora, il derby Varese-Cantù, lo spiega il professor Carlo Recalcati. Chi meglio della bandiera canturina, ma allo stesso tempo idolo anche dei tifosi varesini, può spiegare cos’è e cosa rappresenta questa sfida che torna dopo quattro stagioni? Un doppio ex che ha vinto a Cantù (da giocatore) e a Varese (da allenatore). «Che fascino. Non so quanto sarà facile trasmettere il significato di una partita così ai giocatori di oggi. Ci provo io?»

Grazie coach, spieghi lei...

Non è una partita normale, perché ci sono significati che arrivano da lontano. È una partita che va al di là dei due punti, anche se, stringi stringi, sono la cosa più importante.

A chi non lo ha mai vissuto, magari a uno straniero di Cantù o Varese, come lo spiegherebbe?

Punterei a far capire ai giocatori che, per i tifosi, è una partita non comune: è un messaggio che possono recepire. Ma immagino che i ragazzi che hanno fatto i college in America conoscano le rivalità sportive per storia o vicinanza geografica.

Altri pungoli?

La classifica: è uno scontro diretto. Una vittoria ha un’importanza doppia: Cantù se vince mette a distanza Varese. Se vince Varese, si rimette in scia di Cantù.

Cosa hanno rappresentato per lei queste due squadre?

Io non posso dire bene quale sia stata più o meno importante per me. Varese è stato, da allenatore, quello che Cantù è stato per me da giocatore. A Cantù mi sono affermato in campionato e in Nazionale. Varese è stata invece la svolta della mia carriera da allenatore: lì ho iniziato a vincere e ad avere l’apertura di credito per diventare ct della Nazionale. Sono due punti di partenza e svolta, nelle mie due vite vanno di pari passo.

Ma quali sono i derby del cuore da giocatore?

I derby sono facili da ricordare, specialmente quando li vinci. Vincemmo due scudetti a Cantù, nel 1968 e nel 1975. E le sfide-clou furono contro Varese. Nel ’68 vincemmo a Venezia e poi a Varese, chiudendo in casa battendo Milano, da artefici del nostro destino: arrivammo primi, i playoff non c’erano ancora e vincemmo il nostro primo titolo. Nel ’75, la finale scudetto fu proprio contro Varese, indimenticabile...

Scavando ancora nei ricordi?

I primi derby, giocati in due palestre: la Parini di Cantù e la XXV Aprile di Varese.

E da allenatore?

Posso raccontare, più che i derby, alcuni aneddoti simpatici. Arrivammo con Varese al Pianella, l’anno dello scudetto. Prima della riunione tecnica, i giocatori andarono a tirare, ma De Pol erroneamente andò sotto gli Eagles. Loro pensarono che fosse una provocazione, invece aveva proprio sbagliato canestro... Scappò.

E a Varese?

Al mio primo derby da allenatore a Masnago, perdemmo in casa contro Cantù. Era da un pezzo che Cantù non batteva Varese fuori casa. La Prealpina, il giornale di Varese, titolò più o meno così: “Ci voleva un canturino per perdere con Cantù in casa”.

A Varese, Recalcati è amato per lo scudetto vinto nel ’99.

Fu un titolo inaspettato, benché l’anno prima ci fossimo fermati in semifinale playoff. Le favorite erano Virtus Bologna e Treviso. Ma la squadra acquisì la consapevolezza di essere competitiva per poter vincere il campionato. Perdemmo la Coppa Italia contro Bologna, fu uno sprone per i playoff.

Le pesa non essere riuscito a vincere da allenatore a Cantù?

Sì e molto. Sapevo che sarebbe stato difficile, tornando da coach nel 1984: Cantù aveva appena vinto tutto. Non c’era la richiesta di continuare a vincere e, potenzialmente, sarebbe stato difficile tenere i ritmi degli anni precedenti. Si prospettava un periodo che sarebbe sfociato con la vendita della società. E, ancor prima, dei giocatori da Innocentin a Riva. La programmazione del club ha prevalso e io mi sono allineato.

E l’ultima esperienza con Gerasimenko nel 2017?

Un puro atto di fede per i miei concittadini.

Come giudica la partenza di Cantù?

Tre vittorie in sette partite: da allenatore neopromosso metterei la firma. Volendo fare i sofisti, in trasferta la squadra ha lasciato a desiderare, ma in casa ha sempre trovato le risorse per rinascere. È una squadra a cui manca solo la continuità. E che Sneed: sta tornando il giocatore ammirato a Brindisi. Ora c’è da recuperare Bortolani, un giocatore fondamentale: deve trovare le risorse non solo facendo canestro, la squadra e lo staff lo aiutino a uscire da un momento di incertezza.

Per chiudere diciamo che...?

Che è bello che questa sfida sia tornata e che si possa vivere due volte all’anno questa atmosfera.

Un pronostico?

No, grazie. Li sbaglio sempre.
L.Spo.

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