Il “Muro di Cantù” perde De Simone

Basket È scomparso ieri in città all’età di 85 anni un grande protagonista del primo scudetto biancoblù nel 1968. Con Burgess e Merlati, l’oriundo argentino componeva un trio passato alla storia. In Brianza per sette stagioni

Da ieri è come se si fosse sgretolato un pezzo significativo del celeberrimo “Muro di Cantù”. Nella sua abitazione di via Cattaneo si è infatti spento in mattinata all’età di 85 anni Alberto De Simone, uno dei tre componenti (gli altri erano Bob Burgess e Alberto Merlati), appunto, di quel famoso Muro della Pallacanestro Cantù («ricordiamo con affetto un uomo che ha scritto una pagina importante della storia del club» il messaggio di cordoglio della società biancoblù).

«Da circa due anni combatteva contro un tumore e nell’ultimo paio di mesi era stato costretto a sospendere i cicli di chemioterapia poiché il suo corpo si era troppo indebolito - fa sapere Pierluigi Marzorati, suo antico compagno di squadra nonché il giocatore che più gli è stato vicino negli ultimi anni -. Da un paio di settimane era allettato, ma sempre cosciente. E lucido. Nonostante la malattia fosse implacabile, lui è sempre rimasto ottimista, amava ancora scherzare, era fiducioso e animato da una gran voglia di vivere».

Era il Caña

Oriundo italo-argentino, De Simone approdò a Cantù nel 1964 dopo essere stato visto in azione ai Mondiali di Rio de Janeiro. Il compianto Gianni Corsolini, ricordava che l’aveva contattato tramite lettera spiegandogli le intenzioni del club, senza però ottenere alcuna risposta. Così, dopo aver recuperato un suo numero di telefono lo fece chiamare da sua moglie Mara che parlava benissimo lo spagnolo. Obiettivo centrato: il 9 novembre il “Caña” (significa canna, soprannome dovuto al suo fisico longilineo) giunse in città. L’anno dopo (quando fu di nuovo consentito alle società di tesserare un giocatore straniero), De Simone contribuì a convincere il suo connazionale Guillermo Riofrio (un pivot) a raggiungerlo a Cantù. E sempre tramite lui la Pallacanestro Cantù “strappò” un altro italo argentino, il play Carlos D’Aquila.

Ma si accennava allo storico “Muro”. Ebbene, in quegli anni si era soliti giocare con un solo lungo (massimo due) in quintetto, mentre coach Boris Stankovic decise di mettere insieme tre pivot da due metri.

In difesa l’americano Bob Burgess (subentrato a Riofrio nel 1967) stava al centro, De Simone e Alberto Merlati ai lati bassi. Restando a zona e allargando le braccia, si formava un muro invalicabile, attaccabile solo con tiri da fuori.

L’incontro con Papa Francesco

«In realtà il “Muro” faceva parte di un disegno più ampio - ebbe a dire Merlati -. Davanti a noi erano schierati i piccoletti pronti ad aggredire: uno era Tonino Frigerio, il capitano, che difendeva come un matto rincorrendo chi aveva la palla; l’altro era Charly Recalcati, pronto a sfruttare in contropiede solitario ogni nostro rimbalzo. Le vincevamo così le partite». E in effetti, la Cantù targata Oransoda, senza essere affatto partita da favorita, conquistò addirittura lo scudetto 1968. Sì, campione d’Italia per la prima volta.

De Simone venne richiesto da All’Onestà Milano che gli offriva un cospicuo aumento di stipendio, ma lui preferì restare in Brianza dietro promessa di un piccolo aumento del suo emolumento.

Dopo sette stagioni consecutive, nel 1971 il Caña lasciò la Brianza e andò a giocare ad Asti per poi fare rientro in Argentina. «Tornò a vivere a Cantù verso la fine degli Anni Novanta - ricorda Marzorati - e gestì un’edicola oltre a una pompa di benzina. Recentemente era venuto con noi in Vaticano a un incontro con Papa Francesco ed era felice come una Pasqua anche perché aveva potuto personalmente parlare con il pontefice in spagnolo essendo entrambi argentini».

L’indimenticabile Alberto lascia la moglie Marta e i tre figli Alberto, Marcello e Gabriel. «Per sua volontà i funerali non saranno celebrati - fa sapere il “Pierlo” - e si procederà alla cremazione. Una messa in suffragio sarà celebrata nei prossimi giorni».

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