
( foto butti)
Diego Fumagalli, team manager dell’Acqua S.Bernardo: «Pronti per la serie A. La promozione in cima alle soddisfazioni più grandi»
Felpato come il soprannome Puma che lo fa riconoscere fra mille. Sornione come un felino indeciso tra il fare o non fare (che per lui è dire o non dire). Felice come chi sa che quel che ha ottenuto è il premio di anni di lavoro votato alla causa.
In pochi meglio di Diego Fumagalli, team manager di Pallacanestro Cantù, possono portarci alle porte del raduno della squadra, fissato per domani.
Il numero di visti e di procedure per gli stranieri. Per quanto formule già collaudate, per la massima serie serve un passaggio in più. Così come i nuovi esami strumentali, perché i protocolli sono diversi, ma qui entrerei in un ambito medico e non mio, quindi passo la palla.
Ogni minuto. Mi aspettavo da lì in poi una cosa più laboriosa. Per scelta ho lasciato spazio al lavoro e al massimo impegno, cercando di fare le cose al meglio.
Allora vi dico, come avevo promesso, che a promozione avvenuta avrei tolto dal muro la targa della prima finale. Quella del secondo posto dietro Scafati. Fatto, ora l’ho riposta in un cassetto dell’ufficio.
Non ci ho messo niente.
Sì. E i meriti sono delle persone che lavorano qui e della società. Io che ritenevo già una cosa straordinaria esistere, figuratevi se posso trovare un aggettivo per quel che è stato fatto. Anche adesso, come allora, esserci è già un bel punto di partenza. Anche alla luce della visione sul futuro.
Pochi per certi versi. E lo dico davvero in purezza. Nel senso che come tutti gli insulti e le colpe, quando le cose vanno male, se le prendono allenatori, giocatori e vertici, direi che i meriti è giusto che siano soltanto loro. Poi è chiaro che per altri versi me la sento tanto. Sperando di aver fatto un buon lavoro e, se così fosse, farebbe ancora più piacere.
Ottavo solare, nona stagione.
Primo posto l’ultima stagione. Non è piaggeria, ma la consapevolezza di come si sia arrivati al risultato. Penso alle famose cinque sconfitte di fila, agli attacchi e al valore che ora possiamo dare alla nostra reazione. Non sono mai state passeggiate, ma come è maturata la promozione penso sia sotto gli occhi di tutti.
Come si fa a non dire Firenze 2018? E a una finale di Coppa Italia incredibile per ciò che abbiamo fatto e abbiamo attraversato?
Non faccio fatica a individuare, malgrado l’amarezza, la stagione del playoff svanito per un soffio. Era il ’19, l’anno in cui rischiavamo di sparire, siamo stati bravissimi a tenere tutto a galla.
Vero che ho detto che chi sarebbe salito diretto l’avrebbe fatta con margine e con 9/10 sconfitte. Vero che dopo la sconfitta con Udine ho affermato che bisognava stare tranquilli e che non avremmo perso più di altre 4 partite. Forse sono state 5...
Con grande dispiacere, anche perché sono viziato. Ma chiunque vive uno spogliatoio soffre. A me dispiaceva proprio, perché vedevo quello che la squadra ci metteva. Ha sempre lavorato forte e un peccato era non dare seguito la domenica o il mercoledì ai sacrifici degli allenamenti.
Con coesione, con un’etica del lavoro fuori dal comune e con la massima dedizione. Senza farsi troppo influenzare da quanto arrivava dall’esterno. Il merito di ciò è innegabilmente dei tre signori seduti in panchina e di tutti i giocatori.
Con grande dispiacere. Anche e soprattutto perché con qualcuno si trattava di un rapporto pluriennale. In un mondo come il nostro, una stagione di 8/10 mesi così a stretto contatto quotidiano vale come 3 o 4 anni di un lavoro normale. I momenti di una stagione sono stati tanti e l’aver chiuso un vero peccato. Ma, se non lo si è, queste esperienza ti aiutano a diventare un po’ più cinico.
Non è stata ancora fatta e io comunque non mi muovo, aspetto, sono l’ultimo arrivato... Di certo con i colleghi storici, quelli già incontrati, c’è stato uno scambio ci complimenti e ben tornato.
Per ora è lì, dormiente. Anche in questo caso in tanti sono stati contenti per me.
In attesa di fare quella della nuova squadra, quattro. Forse cinque.
Sempre nuova. Niente fantasia, giusto la parola “team” e l’anno sportivo.
Inglese, un po’ perché sono a mio agio con lo scritto e il parlato, un po’ perché tutti gli italiani comprendono.
Cosa vedo per...?
Nemmeno sotto tortura. Fare e dire cose prima non vale. Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
Alla mia famiglia. A quella originale, il mio primo pensiero è stato per loro, che sono sempre stati lì, fin dall’inizio. Così come a quella che mi sono fatto, anche se il nuovo capo è un po’ troppo piccola per comprendere, ma sono stato contentissimo che ci fossero alla festa. E poi a quegli amici di vecchia data che mi hanno intasato le chat per complimentarsi. Tutto quanto si è creato dopo è stato fantastico e la festa in piazza è stata davvero speciale.
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