Mazzarino: «Sei stata casa e famiglia. Cantù, io sono in debito»

Vestita la maglia biancoblù per otto stagioni consecutive, ora è viceallenatore in Uruguay anche della Nazionale. «Markoishvili il più forte compagno di squadra. Lui nel mio quintetto ideale con Wood, Micov, Leunen e Williams»

Il 6 giugno del 2013, al PalaTiziano di Roma contro la Virtus targata Acea, Nicolas Mazzarino giocava la sua ultima partita con la maglia canturina. L’ultima (gara-7 - persa - della semifinale scudetto) di 294 - dato riferito soltanto alla Serie A, poiché quello allargato a tutte le competizioni alle quali ha partecipato aggiorna il totale a quota 341 - distribuite nell’arco ininterrotto di otto stagioni (nel quarto di secolo più recente nessuno più “fedele” di lui in maniera così continuativa alla causa biancoblù).

La prima delle quali datata 2005-2006, con l’uruguagio reduce da tre annate a Reggio Calabria. Per sei stagioni è stato anche il capitano della Pallacanestro Cantù nelle quale ha prestato servizio sino alla considerevole età di 37 anni e mezzo. Nella primavera del 2013 ha ripercorso a ritroso quel viaggio che nel marzo del 2002 aveva intrapreso da Montevideo per recarsi in Italia. E tornato in patria non ha certo smesso di giocare.

L’ha tirata in lungo da giocatore, stando in campo fino ai 45 anni.

Erano quasi 46 in verità... perché ho chiuso nel marzo del 2021. L’ultima mezza stagione da tre mesi l’ho disputata con il Penarol, mentre le sette precedenti - una volta lasciata l’Italia - tutte al Malvin, vincendo tre titoli nazionali.

Nemmeno il tempo di togliersi i panni di giocatore ed eccola subito di nuovo in palestra come assistente allenatore.

Sì, non c’è stato praticamente stacco. Dal 2021 faccio parte dello staff del Club Biguá (eccolo nella foto accanto, ndr), massima serie uruguagia, e dall’anno scorso sono pure assistente in Nazionale. Alla luce di tutto ciò, mi devo scusare con Cantù.

In che senso?

Che essendo stato impegnato senza soluzione di continuità, non sono mai riuscito a tornare da voi. Perché a me sarebbe piaciuto venire ad aprile o maggio per andare al palazzetto e veder giocare la squadra, ma in quel periodo sono sempre stato impegnato qui a Montevideo. Ed è per questo che sono consapevole di aver un debito nei riguardi della città e dei tifosi.

A proposito, non le fa un po’ strano sapere della “sua” Cantù da qualche tempo in A2?

Premetto che mi tengo informato riguardo le vicende e i risultati della mia ex squadra, certo che non mi torna. Durante le mie annate abbiamo sofferto solo una volta, mentre nelle altre siamo stati sempre ai piani alti della A. Partecipando in quasi tutte le occasioni ai playoff per il titolo italiano.

Il quintetto ideale di Cantù nelle sue stagioni in Brianza?

Difficile, ma ci provo: Dashaun Wood, Manuchar Markoishvili, Vlado Micov, Maarty Leunen, Eric Williams. Ribadisco, non è affatto semplice scegliere solo cinque nomi all’interno di un cast decisamente di ottimo livello.

Le concediamo allora la facoltà di proporre un secondo quintetto.

Joe Ragland, Gerald Fitch, Gianluca Basile, Marko Scekic, Denis Marconato.

Il compagno di squadra più forte?

Dico Manu (Markoishvili, ndr), gran bel giocatore e gran bella persona.

E quello con cui aveva più legato?

Sempre Manu, unitamente a Leunen, forse perché caratterialmente entrambi molto simili a me. Stavamo bene in campo e fuori.

E il più casinista?

Squarcina, un vero rompiballe. Insopportabile, in senso buono naturalmente...

L’avversario più forte che ha affrontato in serie A?

Urca, ce ne sono stati un sacco. I primi che mi vengono in mente sono forse Carlton Myers come italiano e Dejan Bodiroga come straniero.

La partita che più le è rimasta impressa?

Quella della Supercoppa del 2012 vinta a Rimini l’ho nel cuore. Perché si tratta pur sempre di un trofeo conquistato, anche se io in quell’occasione contro Siena ho giocato poco.

Quella che pensa di aver giocato meglio?

La prima del campionato 2007-2008, a Biella. La migliore nella mia carriera per valutazione, oltre 50. Con 27 punti, 12 assist e 9 falli subìti in 32’ sul parquet. Mi domando ancora se ero veramente io...

Il suo tiro più importante nel corso di un match?

Il mio primo anno a Cantù, al Pianella contro Roma. Servivano punti in classifica perché non eravamo messi benissimo e Rowan Barrett sulla sirena realizzò la tripla che ci portò al supplementare. E all’overtime fu una mia, di tripla, a consegnarci il successo.

A proposito di tiro: quanto c’era di naturale nella sua meccanica e quanto di affinato con il lavoro? Lo chiediamo perché si parla di uno che in carriera ha tirato con il 43% abbondante dall’arco dei 6.75...

Di naturale, poco niente. All’inizio ho allenato tantissimo il tiro, in seguito ho pulito la tecnica. Ho avuto stagioni abbastanza costanti quanto a percentuali, anche se con il passare del tempo ho migliorato i tiri che prendevo. Nel senso che miglioravo nelle decisioni e dunque le conclusioni erano più efficaci. Insomma, avevo più chance di far canestro.

Facciamo un giochino. Dovesse mettere su un ideale podio per importanza questi tre eventi come li posizionerebbe? La partecipazione a due Eurolega; la Supercoppa vinta; la finale scudetto?

La Supercoppa sul gradino più alto, perché l’unico trofeo vinto da Cantù in quegli anni. Dopodiché la finale scudetto che rappresentava un sogno. Ed è grazie a quella finale che ci siamo conquistati la possibilità di prender parte all’Eurolega. Che per me è stata una bella soddisfazione, a 37 anni...

C’è qualcos’altro che metterebbe sul podio al posto di uno dei tre eventi citati?

No, non penso proprio.

Ha avuto tre allenatori: Pino Sacripanti, Luca Dalmonte e Andrea Trinchieri. Ci dipinge un ritratto di ciascuno di loro?

Pino era davvero giovane quando sono arrivato. Lavorava molto sull’attacco, non teneva allenamenti troppo tosti e la squadra giocava bene. All’inizio ho fatto fatica a capire cosa volesse da me, ma poi l’ho compreso benissimo. Ed è stato un piacere lavorare con lui e per lui.

Dalmonte?

Ricordo allenamenti lunghi e duri. Tutto doveva essere perfetto. Ho imparato un sacco con lui, soprattutto a giocare con efficacia il pick’n’roll. Era pesante nelle richieste e soltanto più in là negli anni ho compreso quanto sia stato importante per me.

Trinchieri?

Un matto. Tosto in allenamento, preciso nelle esigenze. Mi ha reso un giocatore più forte e ci ha fatto giocare un’eccellente pallacanestro.

A proposito di allenatori, Nicola Brienza, che era vice nei suoi anni canturini, ora allena da capo in serie A a Pistoia: lo avrebbe immaginato?

Sinceramente non mi spingevo così avanti nei pensieri. Certo che sia lui sia Flavio Fioretti si davano parecchio da fare, con capacità. Mi fa molto piacere vedere che ora Brienza sta facendo davvero bene a Pistoia.

Ha visto praticamente “ nascere” e crescere Abass: ora è in Eurolega...

Era un “bimbo” e ogni tanto in allenamento difendeva su di me. Lele Molin si fermava con lui dopo le sedute per impostargli meglio il tiro da tre. Ora è una bestia fisicamente che ci sta benissimo in Eurolega. Prese lui il mio posto nello spogliatoio, dopo la mia partenza.

Ha avuto due proprietari, Franco Corrado e Anna Cremascoli.

Con la famiglia Corrado la società era una sorta di famiglia allargata che funzionava benissimo. Franco era molto serio, ma al contempo disponibilissimo. Una persona corretta e super. Frequentavo casa sua e mi invitava spesso a cena con la mia famiglia. E tra me e suo figlio Alessandro è sbocciata una bella amicizia.

Cremascoli?

Con lei alla guida, la società è diventata più professionale, e la conduzione assimilabile a quella di un’azienda. Lei ha aiutato la crescita del club, portando diversi soldi. E noi due abbiamo instaurato un buon rapporto.

Se le diciamo Cantù, oltre al Pianella saprebbe indicare un altro luogo simbolo per lei?

No, il mitico Pianella è (anzi, purtroppo era...) il luogo simbolico per eccellenza. L’unico.

La sua Cantù fuori di casa cos’era? Nel senso, quali frequentazioni?

Ero amante della routine: palestra, casa, scuola con i bimbi. Quanto ai locali, erano prettamente ristoranti. In particolare Il Capolinea, Il Casottino, l’Unico e La muraglia Cinese che adoravamo. Mia moglie, inoltre andava matta per la pasticceria Marra.

Ora i suoi bimbi si sono fatti grandi.

Francesco ha 21 anni, ha smesso con il basket e frequenta l’Università di Biotecnologia, mentre Delfina- diciassettenne - è all’ultimo anno delle superiori e poi vorrebbe iscriversi a Medicina. A proposito di Medicina, ho saputo della recente scomparsa del dottor Ezio Giani e devo confessare che il dispiacere è stato enorme perché oltre a essere un medico eccellente era una persona squisita.

Siamo ai saluti.

Posso prima chiedere una cortesia?

Prego.

Come sta il Mino (l’ex custode del Pianella, ndr)? Mi raccomando, salutatemelo.

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