Vecchie ruggini e coach scatenati: rivalità vera

Colore Ed è stato Un botta e risposta continuo, anche con gli striscioni: la rivalità è davvero ai massimi livelli.

Cantù

Monday non è Saturday. Lunedì non è sabato: è arrivato un po’ meno pubblico al PalaFitLine di Desio per gara 2. Ma al palazzetto brianzolo non è certo mancata l’adrenalina, quella dei giorni migliori. Stavolta, si è aggiunto un tocco di colore, con le truccatrici – come succede anche al Sinigaglia e in mille altri posti per le partite di calcio – pronte a spennellare di biancoblù i volti di grandi e piccoli. Erano 3.846 i tifosi sugli spalti, poco meno dei 4 mila e rotti di sabato. Mancava qualche bolognese: per gara 1 erano salito in centocinquanta, sicuramente qualche presenza in meno ieri sera.

Fischi assordanti all’ingresso della Fortitudo, rumore cresciuto esponenzialmente all’ingresso ritardato della maggioranza dei tifosi ospiti. È stata tutta una schermaglia, come sabato scorso, tra le due tifoserie. Gli Eagles provocano: «I leoni non ci sono più». La questione delle trasferte è tema ricorrente. Per gli Eagles, i dirimpettai della Fortitudo si sono ormai piegati e adeguati al “sistema”. Il tema è semplice: gli Eagles, in presenza di restrizioni o di richiesta di un acquistare un biglietto nominale, a malincuore non si muovono da Cantù. Molte altre tifoserie, Fossa dei Leoni compresa, hanno bypassato il tema della coerenza e, pur di stare vicini alla squadra, si muovono ovunque, anche con le limitazioni dell’Osservatorio del Viminale.

Ed è stato Un botta e risposta continuo, anche con gli striscioni: la rivalità è davvero ai massimi livelli. E, va detto anche questo, era davvero da un po’ di anni che l’incrocio Cantù-Fortitudo non si verificava. Ora, tra campionato e playoff, vecchie e nuove ruggini sono emerse in tutta evidenza.

Ma non è stato solo un confronto tra curve. La spigolosità del confronto, soprattutto all’inizio, ha scaldato i tifosi di tutti i settori, chiamati a turno a “dare di più” dai giocatori. Qualche contrasto ruvido non rilevato e un paio di interventi dubbi degli arbitri hanno acceso gli animi. Anche in panchina, dove coach Nicola Brienza si è lanciato anche in proteste plateali, forse prendendoci, in occasione di decisioni discutibili della terna. Non che, dall’altra parte, ci fosse serenità. Che Attilio Caja sia un diavolo in panchina non li si scopre certo oggi. Anche lui, quando le cose non giravano, si è agitato per bene. Giustificando in pieno il soprannome “Artiglio” che accompagna da sempre il tecnico pavese.

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