«Smetto di allenare, non me la sento più. Comense? Irripetibile»

Aldo Corno, il coach della gloriosa squadra nerostellata: «Fullin e Pollini il top. Potevamo vincere un’altra Coppa dei Campioni»

Se tutto andrà per il verso giusto, cioè il suo Giussano salvo in serie A2 femminile senza disputare i playout, quella di domenica sarà l’ultima partita di Aldo Corno. L’imperatore della grande Comense, l’allenatore più titolato della pallacanestro italiana (12 scudetti, 6 Coppe dei Campioni, 13 anni in Nazionale, e altro ancora), ha infatti deciso che è venuto il momento di godersi la meritata pensione.

Aldo Corno si ritira dal basket?

Ebbene sì. Non me la sento più di allenare. Già da gennaio, per problemi fisici, ho ridotto l’impegno. E se devo essere onesto, faccio fatica a tenere due ore di seguito di allenamento ad alto livello. Le trasferte lunghe hanno iniziato a pesare, ne ho fatte troppe in vita mia e non me la sento più. D’altronde, quest’anno faccio 74 anni. E’ venuta l’ora di farmi da parte.

Domenica contro Selargius l’ultima panchina, o forse no.

Per salvarci abbiamo a disposizione due risultati su tre: vittoria nostra o sconfitta di Torino. Abbiamo recuperato le infortunate, tranne Meroni, e vogliamo provarci. Viceversa, faremo i playout ma in tal caso non abbiamo deciso se sarò in panchina io o Aramini come previsto.

Giocate alle 18 in via del tutto eccezionale a Cermenate.

Desio è occupata dalla partita di serie B maschile dell’Aurora. Dovendo noi disputare l’ultimo turno in contemporanea, eravamo senza palestra. Allora ho pensato a Cermenate e per fortuna la Virtus è stata molto disponibile.

Tutto è iniziato 45 anni fa.

Era la stagione 79/80 e facevo il vice dell’Algida Roma in serie A1. La squadra dove giocava mia moglie Antonella. L’anno dopo sono diventato capo allenatore.

Proviamo con dei flash. La vittoria più importante ?

Senza dubbio la prima Coppa dei Campioni che ho vinto con Vicenza. A Viterbo affrontavamo le russe del Riga che avevano conquistato 17 coppe e avevano la gigantesca Semjonova. Era uno squadrone che sembrava imbattibile, e noi vincemmo da outsider.

La vittoria invece più bella?

Il primo scudetto con la Comense. È stato qualcosa di incredibile. Eravamo 0-2 nella finale con Cesena che era più forte di noi. Vincemmo 3-2, in un Palasampietro stracolmo, dopo un supplementare con una tripla di Fullin a pochi secondi dal termine. Una vittoria che ho sentito molto mia. Non so se qualcun altro sia mai riuscito a ribaltare una serie al meglio di cinque.

La sconfitta però più dura ?

La Coppa dei Campioni persa a Valencia dopo un supplementare. Gordon tenta l’ultimo tiro al 40’ da tre invece che da due, ma la palla gira sul ferro. Poi perdiamo all’overtime di un punto e senza Todeschini infortunata. Mi è rimasta sul gozzo.

La giocatrice più forte ?

Direi Mara Fullin e Catarina Pollini a pari merito. Fullin era migliore per continuità e concretezza, e ha vinto di più. Pollini però era una giocatrice irripetibile in Europa, ancora oggi: un metro e 97 capace di coprire quattro ruoli.

E la giocatrice preferita ?

Rimango dell’idea che non avrei vinto tanto se non avessi avuto Fullin. Abbiamo giocato assieme per 15 anni, quindi abbiamo avuto un rapporto stretto, e Mara per me è come una figlia.

Il quintetto più forte ?

Questa è facile: quello della Comense che ha vinto la Coppa dei Campioni al Pianella. Ballabio, Fullin, Gordon, Pollini, Mujanovic. Miglior cambio Passaro. E con tutto il rispetto per le altre. In Europa dominavamo, soprattutto fisicamente.

C’è un rimpianto ?

Forse potevamo vincere una Coppa dei Campioni in più. Ma nove scudetti consecutivi con la Comense sono stati qualcosa di irripetibile, anche per la Como sportiva.

Un ricordo del presidente Antonio Pennestrì.

È stato un rapporto molto lungo e completo, nel rispetto dei ruoli. Vederlo piangere di gioia per la prima coppa è stata per me una soddisfazione enorme. L’amicizia si è incrinata da parte sua quando decisi di andare a Schio, perché a Como avevo finito il mio ciclo. Negli ultimi anni però avevamo riallacciato i rapporti personali. L’ho sentito al telefono due giorni prima che se ne andasse.

Carriera grandiosa nella femminile.

Ai tempi ho avuto due offerte dal maschile, la Forlì di McAdoo e Venezia. Le ho rifiutate e non ho rimpianti. So anch’io che sono due contesti diversi. Ma nell’arco di vent’anni ad alto livello nella femminile, ho vinto tutto quello che allenatori anche titolati del maschile se lo sognano.

Hai detto che il basket femminile in Italia è morto.

Nel 2004 quando me ne andai dalla Nazionale mi ero arreso alla pallavolo: non abbiamo più lunghe. È una guerra persa e adesso, per ricominciare daccapo, non vedo nessuno della federazione in grado di farlo.

Domenica al suono della sirena sarai emozionato ?

Emozionato no, ma sarà un momento che ricorderò.

Come farai senza pallacanestro ?

Beh, se ci sarà qualche offerta interessante, ma al di fuori dal campo tipo una consulenza anche in serie A, potrei pensarci. Però come allenatore e direttore tecnico finisce qui. Il contratto con Giussano scade il 24 giugno. Farò il pensionato e mi prendo del tempo per me. E per prima cosa, vado al mare con mia moglie.

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