(Foto di Cusa)
L’allenatore del Como sabato avversario della squadra che lo ha cercato con forza
Un romanzo che appassiona, palpitante, incerto, appassionante. Un best seller. Sabato c’è Inter-Como. La prima volta di fronte Cesc Fabregas e Mirwan Suwarso da una parte, e Beppe Marotta e il popolo nerazzurro dall’altra, protagonisti, in veste di sicari, gli uni, e vittime, gli altri, della telenovela della scorsa estate: il “no” dell’allenatore spagnolo all’offerta milanese. Non basta. Perché sei mesi dopo, le due squadre si sfideranno in quello che, almeno a guardare la classifica, si può tecnicamente chiamare “scontro diretto”. Il fatto che lo sia, non per una crisi dell’Inter annegata nelle retrovie, ma per via di un Como agganciato magicamente alle posizioni di testa, contribuisce a spargere sale e pepe dappertutto. Bellissimo.
I mesi passati da quei giorni, permettono oggi di vedere le cose nitidamente, su quanto accadde. Dopo il Bayer Leverkusen e la Roma, fu l’Inter a citofonare a casa Fabregas. L’allenatore si era seduto a parlare sia con la società tedesca che con quella giallorossa. Quando Ranieri disse «L’allenatore lo abbiamo già scelto», si riferiva proprio a Cesc. Ma arrivò un doppio no. Fabregas si era seduto a parlare, aveva mostrato, se non altro, interesse, ma aveva fatto poi pronunciare il “niet” dalla società. Poteva sembrare il club che teneva prigioniero il suo allenatore (anche se, come sappiamo, se un allenatore vuole andar via, poi alla fine trova il modo di farlo). Invece era una strategia (più o meno) condivisa. Suwarso era convinto della fedeltà del suo allenatore. Poi, certo, se avesse evitato di incentivare l’interesse degli spasimanti sarebbe stato meglio, ma sai com’è con le prime donne...
Poi arrivò l’Inter. Quella che sembrava la più potente, ammaliante, seducente delle possibili alternative. Andò in scena un teatrino. I tam-tam della stampa vicina al club milanese davano l’affare per fatto, e significava che in casa nerazzurra c’era assoluta fiducia. Poi Fabregas volò a Londra per raggiungere Suwarso a un evento culturale e sportivo. Mentre si parlava di una cena di Fabregas con Ausilio (che saltò). Quando tutto sembrava apparecchiato, dal palco dell’evento, prima Suwarso e poi Fabregas annunciarono la prosecuzione del rapporto. Ma erano giorni frenetici. Il giorno dopo Suwarso si vide costretto a emettere un comunicato per mettere i puntini sulle “i”, con qualche frase piccata rivolta all’Inter. Come quella in cui diceva: «Trattiamo le voci insistenti sul loro interesse per il nostro allenatore come pura fantasia: difficilmente qualcuno insisterebbe dopo una risposta tanto chiara. Soprattutto un club del calibro dell’Inter». Rispetto ai contatti con Bayer e Roma, Suwarso in questa occasione si era un po’ infastidito. Si era andati oltre. Ma anche in questo caso, poi, la strategia del “no” era stata condivisa con il tecnico. Il quale (la società lo sa) nella sua posizione di allenatore giovane e rampamte ritiene doveroso ascoltare le proposte che gli arrivano, senza chiudere almeno ipoteticamente la porta a priori. Ma la sua volontà è sempre stata quella di restare al Como. E non sfugga un particolare che diede pepe alla questione: l’Inter era appena uscita dal 5-0 in Champions e non poteva permettersi una sconfitta sul mercato. Per questo il “no” fu incassato con fastidio dal clan nerazzurro.
Che ne è ora di quella situazione? Oggi Fabregas è più che mai concentrato sul progetto Como. Secondo i rumors, tra l’altro, lui non sarebbe progettualmente interessato a una panchina top in Italia. Ragiona, in prospettiva, su panchine protagoniste in Europa e legate al suo passato: una chiamata dall’Arsenal, dal Barcellona e dal Chelsea potrebbero fare breccia. Una chiamata dall’Italia molto meno. E chi è stato attento, lo ha notato nelle sue parole anche durante la sua visita in redazione a La Provincia. Ma prima di pensare alle alternative, soprattutto c’è un progetto Como che lo intriga. Sotto sotto, il fatto di completare l’opera, di portare il Como ai vertici in tre-quattro anni, in una società dove può lavorare senza pressioni, è un aspetto che lo interessa molto. Intanto sullo sfondo c’è Inter-Como. Come accoglierà il popolo nerazzurro l’uomo del “no”? Quel “no” che fece rumore perché mai un allenatore di una piccola aveva detto di no a una grande? E il Como è ancora una piccola? Nel frattempo a Mozzate lui lavora per cercare di dire un secondo “no”, ancoro più clamoroso, a San Siro.
Un “no” a una squadra che vorrà ristabilire le distanze. Se arriverà, il “no”, beh, in casa Inter potranno sempre concludere che ci avevano visto giusto...
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