
Como calcio / Olgiate e Bassa Comasca
Giovedì 02 Ottobre 2025
«Io per il Como assist, spaghetti e due promozioni»
L’ex difensore azzurro Manzo: «Abito qui da 33 anni, tra campo e ristorante. Mi amavano per la grinta»
Per la serie “Io e il Como”, galleria di personaggi che hanno una storia da raccontare, ecco Mario Manzo. Quattro anni nel Como, due promozioni, poi ristoratore che ospitava i giocatori azzurri, 33 anni qui (tre figli), comasco acquisito anche se l’accento salernitano c’è sempre.
Come ci sei arrivato qui?
Uno scambio di favori tra il presidente Gattei e quello del Baracca Lugo dove giocavo. Non sapevo nulla di Como, ricordo la fontana di Piazza Camerlata appena uscito dall’autostrada. Non immaginavo che sarebbe diventata casa mia.
Trentatre anni qui. Sei ormai comasco.
Abito a Lipomo, ma ho un rito: il sabato mattina un giro in centro con un amico che mi seguiva sempre. La gente mi ferma ancora per strada, e mi fa piacere. Il Como è nel mio cuore.
In effetti la gente aveva tanta stima di te.
Sì, questo lo percepivo. Due promozioni, ma anche momenti difficili. Mi è capitato di essere faccia a faccia con i tifosi che contestavano, assieme a miei compagni che erano nel mirino, e sempre mi dicevano “non ce l’abbiamo con te”. E io cercavo sempre di fare da paciere.
Perché questo affetto?
Mah... Sono anche brutto... (ride, ndr). Sarà questa faccia da lavoratore, testa bassa e grinta. Non ho mai smesso di correre su quella fascia.
Danoi in redazione c’è un collega che ancora è un tuo tifoso sfegatato.
Non ci credo... Salutamelo.
Primo anno 92-93 difficile.
Anno di transizione, la società in vendita. Valdinoci, poi Burgnich. Quando arrivò Tarcisio cambiò la musica. Arrivammo quarti. Lui è uno degli allenatori che più hanno lasciato il segno in me. Ci faceva fare l’allenamento nel fango per temprarci. Sul campo in terra. E si metteva la tuta anche lui per buttarsi nella mischia. Ci insegnava a marcare, e dio sa quanto ci sarebbe bisogno oggi di insegnare a marcare.
Poi Tardelli.
Arrivò qui stile Fabregas, il grande campione di personalità. Costruì un gruppo fantastico. Aveva solo un difetto, che si vide l’anno dopo in B: pativa troppo emotivamente le sconfitte. Sino al venerdì aveva il muso. Perché ci teneva troppo.
Manzo che segnò anche qualche gol.
Tutti belli, magari da fuori area.
Dopo la B sei andato via a Lucca e a Cesena. Ma dopo cinque anni sei tornato.
Io nel 1994 mi ero fidanzato con Elena, che gestiva con la famiglia il ristorante Le Catene che ospitava già i giocatori del Como. Ero a fine contratto a Cesena e mi chiamò Ferrigno: guarda che ho parlato di te a Preziosi ti vuole parlare. E ci andai. Per me era bellissimo, tornare a casa. Capii subito che l’aria rispetto al Como di Gattei e a quello di Beretta era cambiata. Preziosi era tosto.
Grandi ambizioni.
Sì, ma lui aveva il difetto di considerare i giocatori come se fossero giocattolini.
Comunque promozione in B.
Giocai sempre, anche i 120’ sotto il sole della finale.
E dopo due giorni del ritiro della serie B, Manzo fuori rosa. Possibile?
Forse non ci crederai, ma ancora oggi io quella cosa lì non l’ho mica ancora capita. Cominciai a vedere che qualcosa non funzionava due giorni dopo l’inizio del ritiro. Non utilizzato in amichevole, Terni mi era passato davanti. Poi arriva Como-Crotone, prima di campionato: 20’ da subentrato. Rientriamo negli spogliatoi e Preziosi aggredisce Dominissini come non avevo mai visto: “Non dovevi metterlo in campo!” gli urlava come se avesse disatteso degli ordini. Il caso scoppiò, Preziosi pretendeva che io rescindessi il contratto, telefonate in cui tenevo l’orecchio distante venti centimetri dal ricevitore, tanto urlava. Ma io nulla. Mi ritrovai a fare palleggi con Lombardini, anche lui epurato. Fu davvero dura.
Quale la promozione più bella?
Quella di Tardelli. Una squadra giovane, un gruppo speciale. Ho un ricordo migliore. Ma forse è anche colpa dell’epilogo.
Il dramma Ferrigno.
Io l’ho pagato emotivamente. Max era mio amico. Come detto, mi volle lui qui. Veniva sempre a mangiare al ristorante, passavamo tutte le sere insieme. Poi, dopo il fattaccio, sparì. Dall’oggi al domani. Certo, capivo l’esigenza di isolarsi e il tormento interiore. Ma ci rimasi male, come perdere una persona cara.
Il ristorante...
Eh. Adesso che non c’è più, che è chiuso, ne parlo con nostalgia. Ci sono andato da giocatore, e poi essendo di famiglia passavo quasi da calciatore ristoratore, vedevo i miei compagni venire mangiare. Lì si faceva gruppo.
Cosa hai fatto dopo?
Al Renate giocai una partita decisiva al Sinigaglia, da avversario. A fine stagione diventai allenatore-giocatore e lì sbagliai. Avrei dovuto allenare a basta, e forse avrei intrapreso la carriera di tecnico. Invece fu una cosa
strana, me la giocai male. Lì è tramontata l’idea. Però ho fatto tre anni di Como 2000 in A.
Dunque dilettanti.
Maslianico con Niki D’Angelo, Bulgaro, via via sino all’Arcellasco dove ho fatto il settore giovanile con Ottolina. Adesso ho smesso. Basta. Siccome continuo a lavorare in una ditta di Cagno, faccio fatica a far coincidere le due cose.
E il tio amico Gattuso?
Merita una squadra. Promossi nel Como e promossi con la Canzese, insieme. Non so come faccia a rimanere a piedi. Significa che nel calcio contano altre cose.
Guardi il Como?
E come no? Lo vedo in tv perché non c’è verso di trovare i biglietti. Il Como è una squadra che è molto divertente da veder giocare. Ma gli manca una cosa: la concretezza. In Italia devi saperti adattare alle situazioni, e Fabregas (che diventerà un grande allenatore, di sicuro) non deroga mai. Ma nel calcio italiano ogni tanto devi chiuderti, magari mandare una palla in tribuna.
Ci vorrebbe un Mario Manzo.
(ride di gusto, ndr) Grazie per la fiducia.
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