Cantù piange la scomparsa di Stankovic
Fu il coach del primo storico scudetto

L’allenatore serbo si è spento all’alba di ieri a Belgrado all’età di 94 anni, Il titolo tricolore conquistato del 1968. Recalcati, suo giocatore: «La svolta della mia carriera»

Il prossimo luglio avrebbe festeggiato le 95 primavere, ma la sua corsa si è arrestata all’alba di ieri nella “sua” Belgrado dopo che a sgambettarlo era stata una lunga malattia. Boris Stankovic ci ha lasciato quasi 52 anni dopo aver contribuito da capo allenatore alla conquista del primo storico scudetto da parte della Pallacanestro Cantù. Targata Oransoda.

Rese il club più “europeo”

In Serbia nel 1966 era andato a incontrarlo (dopo un lunghissimo viaggio in auto condiviso con Giorgio Primi), per convincerlo ad accettare l’incarico, l’allora general manager del club brianzolo, Gianni Corsolini. Era stato lui a sottoporre nome e figura al patron Aldo Allievi. Stankovic - docente di veterinaria a Belgrado e direttore del macello comunale - , aveva vinto tre titoli nazionali (1958, 1960, 1964) da allenatore con l’Okk Belgrado dopo averne conquistati altrettanti di fila (1946, 1947, 1948) in precedenza da giocatore della Stella Rossa.

Fu uno dei fondatori delle competizioni internazionali che iniziarono nella stagione 1957-58 e aveva pregnanti conoscenze politiche nel movimento europeo. Corsolini pensò a lui perché la Cantù di quel tempo intendeva crescere in Italia come in Europa e cercava un uomo che ne potesse migliorare l’organizzazione, rendendo la struttura non solo professionale ma professionistica.

E non è dunque certo un caso che sfruttando anche le sue conoscenze internazionali, con lui in panchina Cantù abbia vinto il primo scudetto. Anno di grazia 1968. Con un ultimo mese di campionato con il fiato sospeso perché la sconfitta casalinga contro Napoli sembrava aver compromesso tutto. Ma poi il filotto delle ultime tre vittorie: a Venezia, a Varese e l’ultima alla Parini - ancora con due sole tribune - decisiva contro il Simmenthal Milano il 7 aprile.

Tra i protagonisti, sul parquet, di quel tricolore, Carlo Recalcati. «Le nostre strade si sono incrociate e incontrarlo è stata per me una grande fortuna - così il Charlie -. Stankovic, infatti, rappresenta la svolta nella mia carriera. Arrivò a Cantù con una carica incredibile e una leadership contagiosa, con poche parole riuscì a entrarmi nella testa, facendomi diventare un giocatore diverso, come lui voleva. Stankovic diede inoltre alla Pallacanestro Cantù una dimensione internazionale, senza trascurare alcun aspetto. Sapeva che per diventare una società stabile Cantù avrebbe dovuto concentrarsi su ogni ruolo, considerando tutti importanti, dal presidente al custode della palestra».

La principale rivoluzione tecnica/tattica introdotta dall’allenatore serbo (che da queste parti scoprì e gradì la casseoula così come il salame brianzolo) fu quella di giocare con tre duemetri in campo contemporaneamente (quello che sarebbe stato ribattezzato come il “Muro di Cantù”). In difesa tutti e tre assieme con la zona, in attacco Burgess in lunetta, De Simone e Merlati in pivot basso sui due lati dell’area.

L’omaggio della società

Doveroso l’omaggio della Pallacanestro Cantù che «si stringe attorno al dolore della famiglia e dei suoi cari. Stankovic ci lascia un vuoto enorme perché ad andarsene infatti, non è solamente il coach del primo storico scudetto ma anche un uomo di grande caratura, rispettabile e dotato di una rara conoscenza della pallacanestro».

Smessi i panni di allenatore, “Bora” sarebbe poi diventato segretario generale della Fiba, dal 1976 al 2002, membro del Cio, presidente dei Comitati Europei del Cio, membro del Naismith Memorial e della Fiba Hall of Fame. Credeva in un’unica pallacanestro mondiale, open, aperta a tutti, senza steccati, né frontiere: uno dei risultati migliori del suo intenso lavoro è stata l’apertura dei Giochi Olimpici ai giocatori professionistici. Se oggi il basket è un linguaggio universale tanto merito è proprio suo.

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