
«Io Casartelli e un papà che scopro ogni volta di più»
Figlio di Fabio, campione olimpico: «Ho sempre cercato di non aggiungere dolore a chi gli è stato più vicino»

Trent’anni, due mesi e qualche giorno, Marco è molto più del bravo ragazzo che le mamme sognano per le proprie figlie. È innegabilmente un uomo maturo, molto più della sua età. Lo dimostra ogni giorno, anche in questo. Che sono passati trent’anni.
Marco è Casartelli, stesso volto, riccioli e ostunazione di papà Fabio. Il campione olimpico di Barcellona 1992, prova di ciclismo su strada. Che il destino strappò alla vita nel 1995. In corsa, sulle strade del Tour del France. Il 18 luglio. Trent’anni fa, oggi.
Due mesi e qualche giorno sono, capirete, un limite impossibile per farsi un’idea, ma anche - forse l’unico squarcio di azzurro nella tragedia - il modo più morbido, se mai esistesse, per vivere ed elaborare un lutto così pesante.
Trent’anni, due mesi e qualche giorno. Marco Casartelli ha scelto La Provincia per fare quello che non ha mai fatto: raccontarsi e raccontare. Il suo Casartelli.
Cominciamo dall’... io e mio papà.
Il mio babbo.
Vero, siamo in Romagna, a Forlì. Io e il mio babbo, allora...
Onestamente non lo so. Senza fraintendere, per l’amor del cielo. Ma la figura paterna per me è stato il nonno materno Sergio. Sì, Sergio, come l’altro di Albese con Cassano. Con la mamma che già lavorava come una forsennata, è con lui che a Forlì ho trascorso l’infanzia. Il mio babbo l’ho visto molto poco. Più che altro l’ho poi conosciuto indirettamente fuori, nelle varie manifestazioni. Più il campione rispetto alla figura che avrei potuto vivere in casa.
E cosa ti arrivava di lui?
A un certo punto la situazione è un po’ cambiata. Non che con mamma o altri non capitasse di parlarne, ma - e penso anche per motivi comprensibilissimi - capitata di rado. I nonni, specie lassù ad Albese, si sono sempre lasciati ad andare un po’ di più. Quello che ho sempre percepito, sia da chi lo conosceva bene e chi magari più superficialmente, erano i tratti di una persona solare, gentile e dal cuore buono.
Questo è un po’ il tuo Fabio, dunque?
Sicuramente. Anche perché, crescendo, è stato un processo più naturale avvicinarmi a lui grazie ai racconti degli amici. E ogni volta è stata una sorpresa, un conoscere qualcosa di nuovo. Sono passato da un momento in cui ho vissuto il mio babbo in maniera un po’ più distaccata a uno molto più intenso.
Spiegati meglio.
Non che non mi riguardasse sapere di lui, anzi, ma forse avevo un approccio più progettuale, figlio probabilmente del lavoro che faccio. Poi maneggiando materiale più intimo e personale è come se fosse scattata una molla.
E ne è uscito un video bellissimo, tutto tuo, che presentasti per la prima volta alla vigilia della Granfondo La Casartelli, l’anno scorso a Forlì.
Ci tenevo. Erano i video di noi due, delle vacanze con mamma, Barbara e gli amici. Immagini che mi hanno coinvolto. Sempre più coinvolto. Non l’ho mai avuto come presenza fisica, e mi capirete. E questa è stata una cosa “più”.
Eccoci all’io e Casartelli...
Argomento traballante. Perché sia il ciclismo sia lo sport in generale non è che mi appassionino. Faccio molta fatica. Ma la sua è stata una bella storia. L’argomento preferito di nonno Sergio, quello di Albese, che non ha mai smesso di raccontarmi aneddoti. Ed è bello vedere come ancora oggi si appassioni. Diciamo che quello che mi passa del Casartelli campione sono il grande impegno e la motivazione, quello che ho sempre cercato di fare miei nella vita.
Parliamo un po’ dei nonni. Cominciamo dalla Romagna.
Super nonni. Peccato non ci siano più da un po’. Peccato soprattutto per nonna Wanda che, ai miei quattro anni, è stata colpita da un ictus che l’ha paralizzata e le ha tolto la parola. Nonno Sergio - piccolino e magrettino ma con una tempra fortissima - ha badato a lei, a me e a mamma. Una forza della natura.
Da queste parti, Sergio e Rosa, invece, li conoscono un po’ tutti...
Anche loro due macchine da guerra. Nonno, 83 anni e rotti, non si ferma mai e tutti i giorni lavora in baita. In questi momenti è lì ad Albese, a mettere i cartelli per la Granfondo di domenica. “Fermati un po’”, gli ho detto anche l’altra sera. Ma non c’è verso.
In mezzo a tutti c’è una donna che merita molto più di un monumento per la forza e il coraggio: mamma Annalisa.
Al di là della sfortuna, che con lei sì è accanita per davvero, è stato impressionante - vivendole accanto - vedere come ha affrontato ogni cosa. Io ho cercato di essere il più sereno possibile per supportarla. Evitando di aggiungere altro peso. Ecco perché ho voluto fare di tutto per non prendere un brutto voto a scuola o essere nel bel mezzo di qualche ragazzata: non avrei mai voluto darle dell’altro dispiacere.
Ora, a unirvi ancora di più, c’è la Casartelli, un progetto nato e voluto insieme.
Sicuramente. Al di là degli alti e bassi nella fase di preparazione, ci ha regalato momenti unici. Vissuti insieme. Riusciamo ad affrontare le cose più disparate e a palleggiarci spazi e responsabilità. Ci si divida i compiti o meno, sono contento di avere un progetto insieme a lei. E anche adesso che si lavora entrambi e magari ci si incrocia un po’ meno, questa cosa è un collante.
Nel segno di papà, poi...
Nel segno del babbo è ancora più bello. Mi serve a conoscerlo ogni giorno di più.
Quante volte ti hanno detto che hai lo stesso viso di papà?
Tantissime. Le ultime volte un po’ meno. Ma fino a quattro anni fa, quando mi si poteva contare le costole, praticamente. Ora diciamo che mi dicono più spesso che assomiglio a mamma...
I ricordi del babbo sono in bianco e nero o a colori?
A colori. Sicuramente. E vi dico anche dovuto a una serie di step. Nell’infanzia/adolescenza ho cercato di andare a chiedere il meno possibile per evitare di fare soffrire le persone. Poi, grazie soprattutto alla mia compagna Laura, è aumentata la curiosità. E la sua, di curiosità, è stata anche la mia. “Chissà come avrebbe reagito il babbo ora”, mi chiedeva per tutto. E questi suoi stimoli mi hanno sbloccato definitivamente.
Ti sei mai chiesto cosa farebbe papà ora?
Non saprei dirlo. Dagli aneddoti di chi gli è stato vicino, l’impressione è che non sarebbe stato ciclismo per sempre. Una volta raggiunti gli obiettivi, perché lui era uno tosto, si sarebbe concesso dell’altro. E molto più relax.
A proposito di chi gli è stato vicino, cosa ti rimane di lui?
L’immagine di una grande persona. Ci ha lasciato più giovane di quanto sia io ora. Ma se avessimo avuto la stessa età, avremmo di sicuro vissuto identiche compagnie. Sì, sarebbe stato di sicuro del mio gruppetto. Anche dai racconti che mi hanno fatto due grandi amici suoi come Mauro Consonni e Roberto Maggioni, entrambi ex ciclisti, mi arriva il ricordo di un ragazzo per bene, simpatico e divertente da avere intorno.
Mamma, e la capiamo, potesse strapperebbe da tutti i calendari il 18 luglio. A te che effetto va.
Anche qui, vi prego di non fraintendermi. Con il passare degli anni ho imparato a gestire le emozioni e pensare che arriva, passa e basta. Quasi fosse un giorno come un altro. Quand’ero bambino, invece, erano giornate toste, più intense, perché ogni volta ci toccava andare da questa a quest’altra parte. Ora, un abbraccio alla mamma e via, a fare le cose di sempre. Ma anche questa, probabilmente, è un esigenza ormai, per non far vivere a lei e altri il peso del ricordo.
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