In piazza a Cantù sorgono dubbi: «Sicurezza a rischio con il dormitorio»

Cantù Il “polo della carità” della Comunità pastorale all’oratorio chiuso di San Teodoro non trova consensi. Il favorevole: «È una struttura che serve alla città»

Anche la compassione vacilla di fronte alle ansie legate a sicurezza e degrado.

E, con un certo ruvido pragmatismo, anche chi si mostra più aperto alla possibilità di un dormitorio nell’oratorio di San Teodoro si interroga sulla sua gestione, su chi lo potrà frequentare.

Ma non manca anche chi, invece, non ha dubbi e ritiene un doveroso atto di civiltà dare un letto a chi passi la notte per la strada. L’argomento di cui si parla in piazza Garibaldi, rimandato dalle locandine dei giornali, è questo, il progetto della comunità pastorale di San Vincenzo per aprire nell’oratorio di via Daverio, chiuso mesi fa a malincuore perché frequentato da sempre meno ragazzi, un polo della carità, per razionalizzare in un unico luogo tutte le attività solidali della comunità.

Barricate

Prevedendo anche l’ipotesi di realizzare al suo interno un dormitorio. La Lega è salita sulle barricate, attivando una raccolta firme contro questa ipotesi, chiedendo invece di riaprire la struttura con una funzione sociale legata ai giovani.

Due giorni, 200 firme. Interrogando i canturini che attraversano la piazza una cosa appare certa: nonostante la struttura sia pensata per dare un sostegno a chiunque si trovi in difficoltà, nel sentire comune si dà per scontato che l’utenza sarà formata da cittadini stranieri. «Nessuno di noi è razzista – dice Giancarlo Moscatelli – e capisco le buone intenzioni. Ma poi? Un conto è dare un posto per dormire e un pasto, ma poi dove andranno? Ci sono già tante persone in giro per la città senza un’occupazione, a volte ci sono problemi di sicurezza, liti».

La firma

D’accordo anche Aldo Mascheroni, che infatti assicura «io ho firmato contro. Il problema non è far dormire le persone, il problema è poi come passano le giornate». E comunque «Il Comune già oggi aiuta chi si trovi in difficoltà» osserva Francesco Mereghetti. «Non c’entra il razzismo - assicura Paolo Della Maddalena – La cosa più triste, poi, che abbia chiuso l’oratorio, un simbolo della nostra cultura». Non tutti la pensano così: «Io sono a favore di un progetto di questo tipo – dice decisa Alessia Tatti – non credo proprio che porterebbe degrado. Semmai, se il disagio aumenta di giorno in giorno è perché ci sono troppi giovani allo sbando. Se non hanno un posto dove stare è facile poi che finiscano per fare scelte sbagliate. Bisogna metterli in condizione di vivere in maniera dignitosa».

Anche secondo Raffaele Nastri il rischio è cadere negli stereotipi: «Chi dice che porterà degrado? Sono solo supposizioni. Tutte le migrazioni muovono grandi masse di persone, persone per bene e altre meno. Ma non è giusto che per dieci che sbagliano 10mila debbano pagarne le conseguenze».

Una visione poco aderente alla realtà, lo rimprovera Nicola Malaspina, che, ricorda, è stato emigrato a propria volta: «Oggi ci sono già troppe persone che si aggirano per la città senza un lavoro, senza fare niente tutto il giorno, e una struttura come questa potrebbe attirarne altre. Vivo qui da 50 anni, e oggi c’è molta più insicurezza. Non si tratta di non volere gli stranieri, anche io ero straniero quando lavoravo in Svizzera. Ma nessuno ha mai avuto da ridire nei miei confronti, perché ho sempre lavorato e rigato dritto».

La gestione

Un’idea, questa molto diffusa. Ma c’è anche chi ammette di avere tante domande, più che certezze: «Io non sono né a favore né contraria – ammette Simona Rosa – se ci sono persone in difficoltà capisco la necessità di aiutarle. Ma capisco anche che ci possano essere dubbi: bisognerebbe vedere, poi, come una struttura simile verrebbe gestita, che impatto avrebbe».

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