La storia di Ecclesio, costretto a lasciare la cascina pericolante: «Ma io sono nato qui e ci torno sempre»

Cantù Ecclesio Frigerio da dieci anni si siede tutti i giorni vicino all’ingresso di San Giuliano. Ma lo stabile è stato recintato, rischia di crollare: «Non riesco a dimenticare questo posto»

Non riesce proprio a stare lontano dalla vecchia cascina dove è nato, ha vissuto per tanti anni, lavorando nei campi intorno e nella stalla.

Ed è così che ogni giorno il vecchio “paisan” canturino Ecclesio Frigerio torna a quello che fu il bel casale San Giuliano, oltre Fecchio. Qui si sdraia sul prato accanto alla cinta con i cartelli che vietano l’ingresso. Sta crollando, è pericolosa San Giuliano, uno dei più significativi esempi di architettura rurale in Brianza. Ecclesio e suo fratello Virgilio hanno resistito qui, tra i muri con tremende crepe, fino quando hanno potuto.

Un passato scomparso

Poi le autorità hanno chiuso tutto e per lui e il fratello hanno trovato una casa in affitto, in via Grandi. Ecclesio però ogni giorno torna alle sue radici, perlomeno a pochi metri a dove è nato: «Non ce la faccio a dimenticare San Giuliano e quindi ogni giorno arrivo qui e passo alcune ore ricordando. Qualche volta mi piace parlare con i pochi passanti che salgono alla Specola, il punto più alto di Cantùı». Ritorna ogni giorno da dieci anni. Manca all’appuntamento solo quando diluvia o nevica.

Ecclesio è scapolo, ha 75 anni ed ha sempre fatto il contadino. Ci ha raccontato mentre stava sbocconcellando una mela (si porta anche la merenda ) che sono stati molto belli i tempi quando lui e la sua famiglia abitavano a San Giuliano: «Nella grande cascina vivevano dieci o dodici famiglie. Cinque erano contadine. Le altre di operai, falegnami, lucidatori che ogni giorno scendevano a Cantù a lavorare. Mio fratello Virgilio ed io abitavamo con mamma Giulia e il padre Serafino. Noi uomini lavoravamo nei campi intorno alla cascina che erano tutti di proprietà della ricca famiglia Orombelli di Cantù, proprietaria anche di San Giuliano. Eravamo trattati bene, i proprietari non erano avidi nell’affitto Facevamo buoni raccolti e in stalla tenevamo le vacche che facevano il latte che vedevamo. Non era una vita grama, di grande fatica quello sì, ma dignitosa: Purtroppo non ho mai trovato la morosa e sono venuto vecchio senza sposarmi. Solo la mia cascina mi è rimasta nel cuore».

Con un bel italiano appropriato Ecclesio ha raccontato che nella cascina, nonostante abitasse tanta gente la vita era ricca di armonia. Andavano tutti d’accordo. Si aiutavano tra loro le famiglie che vivevano isolate lontano dall’abitato. Il medico e la levatrice giungevano quando c’era bisogno, ma a curare le malattie c’era una donna curatrice che aiutava tutti, con i suoi “medegozz”, di cui era grande esperta. Poi faceva anche le punture e misurava la febbre. Sotto i portici vi erano anche delle preziose pitture murali raffiguranti dei santi.

Memoria storica

Quando non c’era ancora la tv la sera si radunavano nella stalla a “contarla su”. Poi fu allestito un locale comunitario dotato di televisore e tutti si radunavano a vedere “Lascia e raddoppia” con Mike Bongiorno. Poi muri e volte della bella struttura cominciarono a cedere e lentamente la casa si svuotò.

Quello di San Giuliano è il destino comune a tutte le altre splendide cascine canturine che l’architetto Tiziano Casartelli ha fermato sulla carta perché vengano ricordate, pubblicando il prezioso “La casa contadina nel Canturino”. Ecclesio però continua da solo a ricordare con affetto la sua.

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