Il giro dell’Islanda con la bicicletta: 665 chilometri “into the wild”

Cucciago Cristina Cortinovis, 42 anni, tra vento e pioggia ha compiuto un viaggio impegnativo, tutto per passione: «A pedalare carichi come non mai, tante le soste per ammirare il paesaggio»

In dieci giorni pedalati, con tenda e in completa autosufficienza: 665 chilometri durissimi, su tratti spesso sterrati e selvaggi, “into the wild”. Cristina Cortinovis, 42 anni, di Cucciago, questa volta ha fatto il giro dell’Islanda. Il suo viaggio più estremo con la bici, e lo dice lei che ne ha viste tante, tra la Route 66 negli Stati Uniti d’America, il Vietnam, la Cucciago-Grisolia - che è in provincia di Cosenza - un “da casa a casa” percorso da figlia di un lombardo e di una calabrese.

Con lei in Islanda, anche Max Mantellaro, biellese che abita a Como ed opera in proprio come guida “Como Bike Tours” - con cui collabora anche Cristina, impegnata anche da Raglia, il negozio del fratello ad Olgiate - e Brayan Menardo di Vigevano, agricoltore. Partenza da Keflavik, «a pedalare carichi come non mai - dice - tante le soste per ammirare il paesaggio, la prima sul ponte tra i due continenti, dove c’è la faglia tra le placche tettoniche euroasiatica e americana». Notte tra vento e pioggia, «risveglio all’asciutto ma freddino, all’improvviso diluvia, quindi si aspetta che diminuisca la pioggia per smontare le tende. La prima parte dannata. A Selfoss finalmente recuperiamo una bomboletta di combustibile per il fornellino». Considerazioni: «Finire gambe per aria, qui, è un attimo. Questo è il viaggio più difficile tra quelli che ho fatto, il più estremo. Un’avventura, questa è vita da vivere a stretto contatto con la natura, la propria mente e nient’altro. Viaggio non per tutti».

Paesaggi tra Hella e Skogar: «Alla nostra destra appare sempre più vicino Eyjafjöll, un vulcano di ghiaccio. A sinistra le isole Vestmann. Il tempo stringe e il vento torna ad essere contrario e forte. Campeggio ai piedi della cascata Skógafoss: rimango a bocca spalancata». Poi, oltre Vik, i 400 chilometri di terra selvaggia, «nella quale gli unici punti di “ancoraggio” sono i rifugi disseminati di tanto in tanto». Sterrato mix di rocce tritate e sabbietta. «Che spettacolo questo entroterra - afferma - Muri di sterrato di durezza e bellezza paesaggistica disarmante. La musica del vento, dei fiumi delle acque di disgelo. Fiumi che abbiamo attraversato, sia a piedi nudi che in bici».

Oltre Landmannalaugar: «Ci ritroviamo in mezzo ad un “deserto vulcanico”, con vento che insabbia e forma mulinelli. La vista è mozzafiato. Raggiungiamo a piedi un punto panoramico da brividi, un cratere vulcanico, trasformatosi in lago. Accampati in mezzo ad una marea di sabbia. Notte da delirio e a tratti spaventosa, un paio d’ore con un vento che avrà sfiorato i 90 chilometri orari, ad un certo punto la paleria fletteva, ma fortunatamente le tende hanno retto. Siamo in mezzo al nulla, farsi male o compromettere l’attrezzatura è un attimo. L’obiettivo è finire il viaggio».

Infine, l’ultima tappa: «L’aurora boreale della sera precedente è stata una sorta di regalo. Da Akureyri a Reykjavik abbiamo preso un bus, poi un taxi per spostarci in zona aeroporto. La capitale non l’ho nemmeno vista e poco mi importa».

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