Cronaca / Cantù - Mariano
Mercoledì 29 Ottobre 2025
Il sindaco di Cantù: «C’è chi non denuncia per paura»
La città violenta Alice Galbiati: «Ci sono famiglie che temono, comprensibilmente, ritorsioni». Il primo cittadino: «Il Comune è e sarà presente anche sotto l’aspetto della repressione. Non parliamo di disagio giovanile, ma di atti di malviventi»
«In alcuni casi le famiglie preferirebbero non denunciare alcuni episodi, magari minori, perché, e sono paure comprensibili, temono ritorsioni. Credo che sia comunque necessario affidarci alle forze dell’ordine per fare il nostro dovere civico e arrivare a una giusta sanzione. Questo non è disagio giovanile: sono atti di malviventi. Per questo come Comune siamo e saremo presenti anche sotto l’aspetto della repressione». Così il sindaco Alice Galbiati, nel contesto dei fatti che a Cantù vedono i giovani come vittime di reati: l’ultimo in ordine di tempo, venerdì sera, al parco di via Colombo, dove è avvenuta, alle 21.30, la tentata rapina a danno alcuni ragazzi, uno di questi, un 19enne, ferito all’addome da una coltellata.
Sindaco Galbiati, lei è anche madre, ci sono genitori che hanno confidato le proprie paure e preoccupazioni in merito ai fatti avvenuti a Cantù. Cosa si può dire?
«Comprendo perfettamente la preoccupazione dei genitori, anche se mia figlia è ancora piccola, però è una società il cui trend non mi pare che vada in positivo. Quindi la preoccupazione c’è. E questo deve portarci a essere ancora più coesi nei confronti delle forze dell’ordine, del loro lavoro, del loro impegno quotidiano, che può portare alcuni risultati concreti grazie anche alla collaborazione civica».
Intende dire: denunciare?
«Sì: se non c’è la denuncia non si può aprire l’attività di indagine e non si può arrivare alle condanne. Quindi anche se la preoccupazione c’è, anche se la paura c’è, l’invito ancora una volta è alla collaborazione, da parte delle vittime, perché solo in questo modo possiamo aiutare le forze dell’ordine».
Possibile che non si denunci una minaccia, o anche qualche contatto violento, pur di non perdere tempo nelle caserme o negli ospedali?
«Il non perdere tempo, no, non ci risulta. A volte ho avuto modo di rapportarmi ai genitori di ragazzi che hanno subito violenza e intimidazione, credo che la loro sia proprio paura, paura di ritorsioni. È comprensibile, mi immedesimo e capisco perfettamente i timori. Però io credo che le forze dell’ordine abbiano la capacità anche di tutelare chi sporge denuncia».
A Cantù, al netto di un’estate meno problematica rispetto ad altre annate, negli ultimi due anni vi sono stati almeno una dozzina di episodi legati al cosiddetto disagio giovanile. Sono tanti? Pochi? Cosa state facendo anche come Comune per i prossimi mesi e i prossimi anni?
«Questi episodi credo che non siano più definibili come disagio giovanile: sono atti violenti compiuti da malviventi,m che devono essere per questo puniti. Continueremo a intervenire e a prevenire, è fondamentale nei confronti di chi ha veramente bisogno di essere sostenuto per fare un percorso di reinserimento nella società, per non rimanere ai margini. È chiaro che però dall’altra parte è fondamentale la repressione, anche per dare l’esempio».
Ulteriori motivi?
«Deve esserci la sanzione, la conseguenza negativa, altrimenti il rischio è che sia veramente un “liberi tutti” che la nostra società non si può permettere. Cantù non è esente da questi fenomeni che, però, se apriamo il giornale quotidianamente, vediamo che sono ovunque. Quindi non è solo una questione di Cantù. Purtroppo è una questione di tutta la società che esagerando in episodi di violenza, episodi ai quali abbiamo la necessità e il dovere di porre fine con fermezza».
In questi giorni si parla di nuovi fatti avvenuti a Como, ma sembra che a Cantù, nel tempo, ci siano stati più episodi.
«Insomma... non è confortante, ma mi sembra che dappertutto il quadro sia ahimé generalizzato».
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