Minacce e pestaggi nelle discoteche: «Dietro non c’era la ’ndrangheta»

Cantù Ieri la Corte d’Appello ha confermato le decisioni di primo grado ed escluso la malavita organizzata

Dietro le attività dei locali notturni del Canturino, della Brianza Erbese ma anche del Comasco, finiti al centro di una indagine della Dda denominata “Gaia” e che ipotizzava la presenza della ’ndrangheta, non c’era la mano della malavita organizzata di stampo calabrese. Lo ha deciso ieri la Corte d’Appello di Milano che ha confermato quella che era già stata la decisione dei giudici di primo grado.

Sono comunque arrivate quattro condanne per gli uomini che erano a processo, per reati a diverso titolo di lesioni, estorsioni, spaccio, ma senza quel pesantissimo capo 1 che lasciava intendere, dietro queste attività, la mano della criminalità organizzata. Tolta l’ipotesi di ’ndrangheta, dunque, Umberto Cristello (di Seregno) è stato condannato a 14 anni (in primo grado erano stati oltre 17), Carmelo Cristello (di Cabiate) a 6 anni e 5 mesi (contro i 9 anni di primo grado) e Luca Vacca (di Mariano Comense) a 6 anni e 10 mesi rispetto ai nove anni e mezzo del primo giudizio. Per tutti, comunque, come chiesto dagli avvocati Simone Gatto (per Vacca), Gianluca Crusco (per Carmeno Cristello) e Ambra Ferretto (per il secondo Cristello), è caduto il reato più pesante, quello che appunto collocava la ’ngrangheta dietro le attività criminali che si svolgevano attorno ai locali della movida brianzola.

Un braccio di ferro infinito, quello tra accusa e difesa, visto che il blitz della Dda che era andato in scena nella primavera del 2020, era stato via via interpretato in modo diverso dai giudici. Dopo il primo grado, infatti, la Corte d’Appello aveva invece condannato tutti anche per l’appartenenza alla malavita organizzata, sentenza che la Cassazione aveva invece cancellato rimandando tutto a Milano. Vicenda che, come detto, si è conclusa nel pomeriggio di ieri.

«Luca Vacca è stato accusato di due associazioni – ha poi commentato l’avvocato Simone Gatto, dopo la lettura del dispositivo della sentenza - Assolto in primo grado, condannato in appello salvo poi ottenere giustizia prima in Cassazione e ora di nuovo in appello. La richiesta in primo grado fu di anni 23 con rito abbreviato. Ricordo altresì che per queste accuse il mio assistito è stato recluso a Palermo, a 1000 chilometri da casa, lontano dalla sua famiglia».

Il fascicolo che gli inquirenti avevano denominato “Gaia”, trattava di diversi capi di imputazione come estorsioni, pestaggi, minacce e stupefacenti, ipotizzando la mano della malavita organizzata, la ’ndrangheta, proprio dietro a queste attività. Angherie che, secondo la Dda, avevano il fine ultimo di mettere le mani sulla gestione della sicurezza privata nei locali notturni.

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