Nascite a picco a Cantù: meno 35%
Azzerate le liste di attesa negli asili

In città ci sono 12 materne (8 paritarie e 4 comunali), ma dal 2008 i bebé sono in calo inarrestabile. L’assessore Girgi: «Dati allarmanti». Adesso c’è chi apre per la prima volta ai non residenti e chi si interroga su possibili accorpamenti

Culle sempre più vuote a Cantù, con un calo delle nascite pari al 35% in poco più di un decennio. Davvero lontani i tempi delle levatacce all’alba nel giorno di apertura delle iscrizioni alle scuole dell’infanzia per riuscire ad accaparrarsi un posto. Oggi si apre anche ai non residenti senza problemi.

Tanto che dodici materne - 4 comunali, 8 paritarie - in prospettiva, appaiono persino troppe, proseguendo con questa curva discendente. Un tema enorme, quello della denatalità, del cosiddetto inverno demografico, che la crisi sanitaria ha accentuato ulteriormente, segnando nel 2020 in Italia nati ai minimi storici e al contrario un enorme aumento dei decessi. Vale anche in città, dove si è avuto un numero di morti più che doppio rispetto a quello dei nuovi nati: 712 contro 270 nati. Nel 2008 i bambini venuti al mondo in città sono stati 415, con un calo di 145, il 35% in meno, in una dozzina d’anni. Tema affrontato anche ieri, nel corso dell’incontro tra i rappresentanti delle scuole materne paritarie con l’amministrazione per il rinnovo delle convenzioni essere.

La voce delle scuole dell’infanzia

Il presidente della scuola di San Paolo Emilio Colombo da tempo ha sollevato il tema: «È un disastro, e si sta scendendo ancora, ormai il calo è costante da anni. E chissà cosa accadrà nei prossimi due anni, visto l’ulteriore flessione per la pandemia. A questo punto mi viene da dire che dodici scuole materne sono tante, per questi numeri, forse servirebbe un ripensamento. Vogliamo chiudere e dare tutto al Comune? O viceversa? Vogliamo estinguerci? Avanti così tra 20 anni lo saremo».

Il tema, aggiunge, va affrontato molto seriamente: «Dal punto di vista delle politiche familiari non si tratta di riavvolgere il nastro, ma il vero tema è culturale, non si può avere una società solo di anziani. La questione economica, in questo, è solo l’ultimo aspetto, non il più rilevante, rispetto a quella sociale».

Maspero: «Welfare da ripensare»

Lo conferma Claudia Acconci, direttrice dell’asilo Argenti: «Noi teniamo, le nostre sezioni riusciamo ad averle, ma non sono certo più i tempi in cui si parlava di liste d’attesa perché c’era un numero di bambini doppio rispetto a oggi e per i residenti era davvero difficile riuscire a trovare un posto. Oggi siamo ai minimi termini, le sezioni di 28 bambini non ci sono più. Non voglio essere pessimista, ma il pensiero è “Cosa succederà?”».

Servono politiche la famiglia, «ma io - prosegue – ho paura che il tema sia anche più profondo». Il problema è senz’altro politico, sottolinea il consigliere con delega alle Politiche per la Famiglia Gabriele Maspero, «fintanto che le forme di welfare in Europa saranno prevalentemente redistributive, e si concentreranno sull’erogazione di sussidi anziché su detrazioni e deduzioni fiscali, cambierà pochino. Nonostante i contributi, un figlio in più spingerà sempre la famiglia in una fascia di reddito inferiore. Di fronte a questi dati, l’origine del problema è soprattutto culturale: «fare famiglia» non è più un valore pubblico. C’è di sicuro da invertire la rotta, specialmente dopo il Covid».

Per questo, conferma l’assessore ai Servizi Sociali Isabella Girgi «dovremo ragionare su questi dati, davvero allarmanti, e cercare di capire come poter aiutare le famiglie».

Silvia Cattaneo

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