Condanne per il dissesto, le motivazioni: «Pensarono al Casinò e non al Comune»

Campione La Corte dei Conti spiega le ammende all’ex sindaco Piccaluga e a parte della giunta. «Invece di salvaguardare il municipio, tentarono inutilmente di non far fallire la casa da gioco»

Sono parole di fuoco quelle della Corte dei Conti in merito alla condanna degli amministratori per il dissesto del Comune di Campione d’Italia. Frasi che hanno stroncato l’operato di anni di politica del municipio, differenziati “solo” da chi nel tracollo ha avuto più o meno responsabilità (in base agli anni di governo) ma non in merito all’operato, per cui gli “schiaffi” della Corte dei Conti hanno colpito a destra e a sinistra.

Si parte dal tema di fondo, ovvero dal fatto che dalle delibere si evince chiaramente come gli amministratori, «anziché salvaguardare l’equilibrio di bilancio dell’ente», ovvero il Comune, «hanno agito al fine di sostenere finanziariamente il Casinò». «Tuttavia – è il commento amaro – l’uso a vantaggio di un terzo, anziché dell’ente amministrato, delle funzioni pubbliche attribuite, costituisce condotta illecita fonte di responsabilità. Come è noto, poi, la casa da gioco è, comunque, fallita trascinando anche il Comune nel default, per cui le illegittimità commesse si sono rivelate del tutto inidonee anche al perseguimento del fine dichiarato».

Comportamenti omissivi

Ampio poi il capitolo dedicato ai comportamenti omissivi: «Il Comune non risulta aver mai adottato efficaci misure di salvaguardia, né avere assunto iniziative per tutelarsi: non ha adottato misure prudenziali, quali l’accantonamento su crediti di dubbia esigibilità, non ha attuato le tutele previste dalla convenzione per il caso di inadempienza del Casinò» (tra i motivi che avrebbero comportato la decadenza dalla gestione della casa da gioco c’era il «reiterato mancato versamento, non motivato, del contributo dovuto al Comune») e non si è attivato, pur essendone l’unico socio, «perché il Casinò provvedesse a razionalizzare e contenere le spese».

L’analisi della Corte dei Conti

Ma anche il Comune stesso non ha provveduto – nonostante la situazione delicata nota a tutti – a «ridurre le proprie spese». Basti considerare che, dice la Corte dei Conti, a fronte di «circa 2.000 abitanti, il comune aveva più di 100 dipendenti ai quali pagava indennità e ingenti assegni non dovuti in aggiunta alla retribuzione». In chiusura, la Corte analizza le diverse posizioni che hanno portato alla condanna dell’ex sindaco Maria Paola Piccaluga, dell’ex vice sindaco Florio Bernasconi, dell’ex assessore Mariano Zanotta, dei consiglieri Armando Bresciani, Diego Gozzi e Pierantonio Montagnini e non degli altri, a partire dall’ex sindaco Roberto Salmoiraghi.

«Non è possibile differenziare le responsabilità tra i vari componenti di giunta e di consiglio in quanto tali organi rispondono collegialmente del loro operato – dicono i giudici - Occorre fare un distinguo tra le amministrazioni che si sono succedute nel tempo». E sotto la giunta Piccaluga «si sono verificati la maggior parte e i più gravi degli illeciti contestati». Salmoiraghi invece e la sua giunta «sono stati in carica un anno ed hanno ereditato una situazione di dissesto se non irreversibile, almeno difficilmente sanabile» seppur «le delibere assunte non si siano discostate di molto dalla gestione precedente».

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